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SI NOTA ALL’IMBRUNIRE (SOLITUDINE DA PAESE SPOPOLATO) - regia Lucia Calamaro

"Si nota all'imbrunire", regia Lucia Calamaro. Foto Maria Laura Antonelli "Si nota all'imbrunire", regia Lucia Calamaro. Foto Maria Laura Antonelli

di Lucia Calamaro
con Silvio Orlando, Roberto Nobile, Maria Laura Rondanini,
Riccardo Goretti, Alice Redini
regia Lucia Calamaro

scene Roberto Crea
costumi Ornella e Marina Campanale
luci Umile Vainieri
produzione Cardellino srl in collaborazione con Napoli Teatro Festival
co produzione con Teatro stabile dell'Umbria
Schio, teatro Astra, 11 aprile 2019

www.Sipario.it, 13 aprile 2019

Canzonettando, tra il serio e il faceto, il protagonista Silvio si racconta fin dal primo istante al pubblico nella scelta della solitudine, che lo fa star bene e non gli fa rimpiangere nulla. Rimasto senza la sua amata moglie, con i figli e un fratello distanti, nel senso più ampio. Ma subito ci si accorge che questi suoi suoi parenti più stretti sono andati a trovarlo in quella casa di campagna che è diventata la sua realtà. Tutti si chiedono il perché di quella scelta, lo vorrebbero spronare, far alzare da quei divanetti, da quelle panchine, ma lui controbatte e a sua volta contesta il contestabile. Il testo della Calamaro è quanto meno, volutamente, lento, e ci si aspetta che "ingrani". Cosa che non avviene invece, perché è così, è quello, nel bene, nel male. Una serie di monologhi tutti rivolti al pubblico con speranza di riflessione e comprensione, battibecchi leggeri tra i presenti sul palco, prese in giro tra padre, figli e fratello, e una ricerca verbale appassionata, che tiene lo spettatore a metà tra la tensione e l'attesa. Silvio Orlando è bravo, e gestisce bene il testo, calcando le battute giustamente e invitando il pubblico alla risata, e come lui fa Roberto Nobile, altro grande interprete della scena italiana, che gioca con l'assurdità della vita del suo personaggio omonimo (ognuno di loro si chiama col suo nome proprio). I tre figli fanno contorno alla grottesca situazione, che sembra sempre aprirsi per culminare subito dopo nell'allentato ritmo di partenza. Riccardo Goretti è dei tre quello che rende al meglio, anche se tutti cinque i personaggi sembrano sempre soffrire di limitazioni, attendendo uno start che invece appunto non giunge mai. Va da sé allora che la situazione è e rimane statica per tutta la durata della commedia, in una scena/spazio fredda, dove succede poco, sebbene il linguaggio teatrale sia raffinato, ricercato. Il pubblico di Schio sembra rimanere sospeso in una dimensione strana, reagisce alle battute comiche di Orlando e dei suoi compagni con prontezza e coscienza, ridendo soprattutto quando l'attore napoletano si diverte a sua volta e offre particolari meccanismi del teatro, sfumature, fatti come un grande attore sa fare. Di certo, o forse anche questa può rimanere un'interpretazione, è che la solitudine di Silvio esiste sul serio, e quella girandola di dialoghi visti e vissuti da lui e dagli altri sembrano riflettersi in un sogno forse auspicato, ma sogno. E che la malinconica realtà vissuta è quella di un uomo che si ritrova ancora una volta solo, quando va al cimitero a trovare la moglie, in uno spiacevole anniversario. Ancora una volta solo. Perché quello pare sia il suo destino. Pubblico soddisfatto, chiamate, applausi. Ma quel guizzo in più, atteso, non si è materializzato. Forse l'autrice Lucia Calamaro, anche regista, voleva proprio questo, e allora va bene così.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Martedì, 16 Aprile 2019 16:00

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