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SIC TRANSIT GLORIA MUNDI - regia Alberto Rizzi

Chiara Mascalzoni  in "Sic transit gloria mundi", regia Alberto Rizzi. Foto Raffaella Vismara Chiara Mascalzoni in "Sic transit gloria mundi", regia Alberto Rizzi. Foto Raffaella Vismara

Scritto e diretto da Alberto Rizzi
Interprete Chiara Mascalzoni
Luci e fonica: Manuel Garzetta
Organizzazione: Barbara Baldo
Produzione: Compagnia Ippogrifo

al Clan Off Teatro di Messina, 16 e 17 febbraio 2019

www.Sipario.it, 18 febbraio 2019

La Chiesa le inventa tutte per giustificare sé stessa. Insomma cade sempre all'in piedi. La stessa locuzione latina Sic transit gloria mundi (Così passa la gloria del mondo) da cui, con lo stesso titolo, prende avvio l'acuto e documentato spettacolo di Alberto Rizzi, interpretato solipsisticamente da una poderosa e fantastica Chiara Mascalzoni ne è la conferma. Infatti se nella vita nulla è duraturo ed eterno e tutto è destinato presto o tardi a finire - anche la potenza e la gloria - ecco che quella frase, citata durante l'incoronazione d'un nuovo papa e rivolta mentre gli facevano consumare dal fuoco uno stoppino, con Wojtyla e Ratzinger verrà definitivamente abolita. Per la cronaca l'ultimo papa ad essere incoronato fu nel 1963 Paolo VI che tuttavia dopo la cerimonia rifiutò d'indossare il "triregno". Un rituale che la Mascalzoni con tutina bianca, seno palombino, sedia in testa e fumogeni diffusi nel piccolo spazio del Clan Off Teatro di Messina ci propina all'inizio, raccontando poi, in mini abito beige, quali siano i requisiti per diventare papa. Non occorre che sia necessariamente cardinale, deve essere un buon cristiano e non deve aver commesso peccati capitali, anche se molti hanno pensato a come fare soldi con la vendita delle indulgenze, il commercio delle reliquie, le speculazioni della banca IOR etc.etc. il cui capitolo può chiudersi con un famoso detto del 1500 che "a Roma Dio non è trino ma quattrino". Lungo l'elenco di coloro che hanno zampettato nella lussuria, come Giulio II che aveva moglie, tre figlie e diventato papa preferiva un bambino di dieci anni o Clemente V che ad Avignone organizzava orge con fanciulle o il suo successore Clemente VI che arredava la camera da letto con cuscinoni e pellicce per far meglio adagiare smaliziate giovinette. E l'elenco porcellone s'allunga con Gregorio VII, amante di Matilde di Canossa, Sergio III che scopa con Marozia e che passerà nei letti dei tre successori Anastasio III, Landone e Giovanni X: ed è doveroso ricordare il mandrillo Alessandro VI, alias Rodrigo Borgia che aveva una moglie e un'amante ufficiale e poi figli e figlie e da una di queste, Lucrezia Borgia, ebbe anche un figlio incestuoso. Tra gli accidiosi un posto di riguarda lo merita Pio XII impietrito di fronte ai nazisti, ai campi di concentramento e all'olocausto e che forse avrebbe potuto fermare la strage delle Fosse Ardeatine dove un commando di tedeschi fucilò 335 civili e militari. Ci furono pure dei papi omicidi come Bonifacio VIII che nel 1200 fece uccidere Celestino V che aveva rinunciato al pontificato e poi un secolo dopo Urbano VI che fece avvelenare sei cardinali che non gli erano fedeli e poi ancora Sisto IV mandante della Congiura dei Pazzi, Giovanni XII , Leone X e ancora Rodrigo Borgia che fece strage di Cardinali, vescovi, parenti, amici e nemici. Insomma anche un grave peccatore può diventare papa. Lo spettacolo di Rizzi si sofferma poi ad analizzare sul perché nella storia dei 266 papi, compreso il vivo e vegeto argentino Francesco, nella storia della Chiesa non sia mai diventata pontefice una donna, considerata forse il diavolo incarnato o l'origine d'ogni male, anche se non esiste alcun documento che lo vieti esplicitamente. In genere un papa prima è vescovo o cardinale e ancora prima un prete e mentre luterani, anglicani o valdesi hanno dei preti donna i cattolici non le hanno. Per San Tommaso D'Aquino la donna non può essere prete perché è inferiore all'uomo, per San Paolo deve imparare il silenzio in piena sottomissione, insomma zitta e buona, cui seguono bislacche interpretazioni che inchiodano la donna come essere inferiore perché ha le mestruazioni e dunque inimmaginabile un Dio affetto da un male periodico o come quella del vescovo di Rennes Marbodio, un dongiovanni d'antan, per il quale la donna aveva la testa di leone, la coda di drago e in mezzo solo fuoco ardente. La brava Chiara Mascalzoni sciorina con innata ironia un elenco di domande redatte da vescovi sporcaccioni, che poi i preti nel confessionale dovevano rivolgere alle parrocchiane, buone solo per risvegliare i loro indolenti sessi addormentati, soffermandosi poi brevemente a raccontare quella leggenda metropolitana del medioevo riguardante la Papessa Giovanna, una fanciulla inglese legata ad un coetaneo che per amore lo seguì travestita da uomo diventando poi una studiosa di successo e il cui epilogo a Roma, dopo essersi fatta eleggere papa col nome di Giovanni Anglico, fu tragico perché essendo rimasta in cinta dopo due anni di papato, durante una processione fece deviare il corteo per partorire, ma i fedeli videro la scena e la uccise ferocemente. Lo spettacolo adesso vira decisamente verso il comico e il grottesco, mettendo in luce la Mascalzoni proprietà metamorfiche che fanno andare in sollucchero gli spettatori, lì dove in particolare torna a disquisire sulla quaestio se una donna possa diventare prete o papa con le aperture possibiliste di teologi, filosofi e dottori della chiesa. Messi tutti a tacere nel 1994, dopo duemila anni di confronto sull'argomento, allorquando prima Vojtyla con la sua lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis, poi Ratzinger e infine lo stesso papa Bergoglio decidono di metterci sopra una pietra tombale, stabilendo per legge canonica che le donne non possono essere preti e neppure papi. Ma siccome al mondo nulla è definitivo, appunto come recita il titolo dello spettacolo, ecco inventarsi Rizzi il nome d'una donna papa appellata Elisabetta I, al secolo Clara Escobar con alle spalle un'incredibile biografia, alla quale la Mascalzoni indossando un abito di cerimonia con tanto di mitra in testa, anello piscatorio e pastorale in mano, conferisce alla sua papessa dei connati seriosi e ilari, finendo il suo primo discorso ai fedeli di piazza San Pietro che lei è in cinta. Amen.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 20 Febbraio 2019 12:33

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