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SERATA D'ADDIO - IL CANTO DEL CIGNO - con Mario Mattia Giorgetti

Mario Mattia Giorgetti in "Serata d’addio - Il canto del Cigno" Mario Mattia Giorgetti in "Serata d’addio - Il canto del Cigno"

di Yannis Hott
con Mario Mattia Giorgetti
Milano, Studio Arti Sceniche 27 settembre 2018

www.Sipario.it, 30 settembre 2018

Dopo l'ennesima esibizione sul palcoscenico, un attore ormai vicino agli ottant'anni ricorda, tra bottiglie di vino e lacrime, la sua carriera artistica. Seduto nel suo camerino, allestito con una lampadina ed uno specchio che lo riprende a figura intera, l'attore ubriaco cade in un vortice depressivo che lo accompagna fino alla resa dei conti, la rassegnazione rappresenta per il suo spirito l'unica via di salvezza.
'Serata d'addio' prende spunto dall'opera di Anton Pavlovic Cechov 'Il canto del cigno', datato 1887. Ma, mentre il pensiero di Cechov viene strutturato in un dialogo tra l'attore e il suo suggeritore storico, nel soggetto di Yannis Hottè l'attore il solo personaggio in scena che, esprimendo i suoi pensieri ad alta voce, da vita ad un monologo estremamente intimo capace di relazionarsi direttamente con gli spettatori.
Mario Mattia Giorgetti dà volto all'anziano attore teatrale, entrando nella sua pelle solamente attraverso l'utilizzo di una vestaglia blu che scivola aperta dai fianchi verso il pavimento. Occhi bassi ed espressione assente, poche volte abbiamo l'onore di poter incrociare il suo sguardo ma, nonostante questa componente all'apparenza estraniante, tutti i presenti hanno la sensazione di essersi intrufolati nella mente dell'uomo senza il suo consenso. Allo spettatore è permesso accedere ai suoi pensieri più reconditi diventando quasi una spia che cerca di sbirciare dal buco della serratura per vedere cosa si nasconde dall'altra parte della porta. Cosa si nasconde oltre la facciata dell'attore.
L'amore per il teatro è senz'altro la spinta che manda avanti l'intera narrazione, il vero cuore pulsante dei racconti del protagonista, la sua essenza. Anche se nella prima parte si assiste ad una critica rivolta al teatro moderno, ai suoi attori e agli stessi spettatori, nel finale il protagonista decide di omaggiare ciò che per lui significa davvero il teatro, uno strumento di comunicazione di massa capace di affascinare anche le platee più esigenti. Ricorda i personaggi che lo hanno portato al successo, da Amleto fino a quelli interpretati di recente.
Frasi sussurrate timidamente e parole urlate senza alcun pudore contribuiscono a creare un insieme di sensazioni che pervadono la mente dello spettatore che, a poco a poco, entra anch'esso nella follia del protagonista. I picchi emotivi sono resi possibili grazie alla presenza scenica e alla voce prorompente di Giorgetti, unico elemento che fa da collante con il pubblico. Pochi gesti, solo voce. Ed è proprio la voce a svolgere il compito di guida durante l'intero viaggio. Un viaggio a cavallo di eventi che sono stati resi memorabili dal tempo e che hanno toccato in particolar modo i sentimenti del protagonista.
D'improvviso il nostro attore si spegne e, come il famoso 'canto del cigno' che intona melodie prima della morte, si prepara per ritirarsi definitivamente dai riflettori, mettendo in scena un funerale artistico. Resta da capire se il 'canto' finale sia frutto della gioia, dovuto al ricordo di una vita ormai passata, o del dolore, per la difficoltà che si prova nel dire addio ad una parte di sé. Tutto sta negli occhi di chi guarda, come sosteneva Platone: i cigni cantano perché si rallegrano all'idea di ricongiungersi con il proprio creatore; ma gli uomini, al contrario, credevano che essi cantassero per il dolore dovuto all'imminente morte. La fine di tutto o un nuovo inizio? Un bivio dal quale ripartire.

Francesca Totaro

Ultima modifica il Martedì, 02 Ottobre 2018 23:31

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