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STABAT MATER, ORATORIO PER VOCE SOLA - regia Giuseppe Marini

Maria Paiato in "Stabat Mater oratorio per voce sola", regia Giuseppe Marini Maria Paiato in "Stabat Mater oratorio per voce sola", regia Giuseppe Marini

di Antonio Tarantino
regia di Giuseppe Marini
con Maria Paiato
scena di Alessandro Chiti
costumi di Helga Williams
musiche originali di Paolo Celetta
disegno luci di Javier Delle Monache
produzione Società per Attori
al teatro Ponchielli, Cremona, 20 marzo 2018

www.Sipario.it, 24 marzo 2018

Si piange e si ride contemporaneamente e non si vorrebbe mai smettere di applaudire per ringraziare Maria Paiato per la sua grandezza di attrice, per aver reso potente, vera, carnale, comica e drammatica Maria Croce, protagonista dell'oratorio per voce sola di Antonio Tarantino, Stabat Mater. Tutto in Stabat Mater funziona alla perfezione, ma soprattutto Maria Paiato si dimostra essere una forza della natura, non sbaglia un tono, non sbaglia una parola, non un respiro di più, né uno di meno, tutta tesa, rabbiosa e dolente per dar corpo e vita a quella Madonna degli ultimi che cerca disperatamente il figlio, un povero Cristo.
Tarantino costruisce un monologo di straordinaria potenza, in cui i riferimenti alla Madonna ai piedi della croce fanno da tessuto drammaturgico a una stra-ordinaria vita di emarginazione. Stabat Mater è la storia di Maria Croce, prostituta e ragazza madre, messa incinta dal suo Giovanni che non ha voluto riconoscere il figlio. Maria Croce quel figlio l'ha tirato su a forza di Simmenthal e Nutella, una fatica di madre che solo lei conosce, divisa fra la strada e la parrocchia, fra i servizi sociali e la paura dei marocchini che ce l'hanno grosso e che piacciono alle mogli dei ministri. Maria Croce è un fiume in piena di paura e desiderio, di umori corporei e di poesia. Quel suo figlio ha un testone, legge, legge, lei gli compra i Panorami e gli Espressi... ma poi è arrivata la Maddalena, quella glielo ha rubato e poi la politica, il carcere, il Ponzio che se ne lava le mani col Palmolive e il giudice Caraffa che non si trova. Maria Croce piange il suo povero Cristo, il suo è un affannarsi su una pedana circolare che è aureola, ma anche pista circense, è il segno di quel cerchio della vita che ti travolge, è il non poter mai sfuggire da quel troppo dolore, da quella miseria che fa sognare un benessere fatto di cose, di piccole cose quotidiane, ma che non promettono alcuna resurrezione.
La regia pulita e discreta di Giuseppe Marini guida, dà un contesto scenico essenziale, una croce che compare di sghembo, un tappeto sonoro funzionale e non invasivo. Al centro c'è Maria Paiato che percorre quella pedana circolare con goffaggine, con rabbiosa fisicità. Si assiste a Stabat Mater come rapiti, ipnotizzati, si ride e subito dopo si avverte un senso di dolore e tristezza infinito, tutto questo evoca non solo il testo, ma soprattutto la potenza interpretativa di Maria Paiato che è Maria Croce, che respira, si dispera con lei e di lei, non si dà pace, non si risparmia l'attrice così come il personaggio. Maria Paiato fa, è Maria Croce, non perché vi si immedesimi, ma perché sa essere tramite corporeo e vocale con la marea di parole che compone un testo difficile, alto, poetico e sconvolgente per la sua lucida crudeltà. Tre mesi di memoria: tanto ci è voluto a Maria Paiato per imparare Stabat Mater, ora quelle parole sono parte di lei, stanno nella mimica, in quello stupore innocente e disperato, stanno nell'amore di madre senza ma e senza se e tutto ciò lo dona al pubblico, ce lo spiattella in faccia con incredibile e sublime potenza. Alla fine allora non si può che applaudire e urlare: Brava! Così si ringrazia una grande attrice per aver confermato che il teatro – quello vero – è quello che cambia chi lo fa e chi via assiste.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 25 Marzo 2018 15:59

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