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STABAT MATER - regia Giuseppe Marini

Maria Paiato in "Stabat Mater", regia Giuseppe Marini. Foto Federico Riva Maria Paiato in "Stabat Mater", regia Giuseppe Marini. Foto Federico Riva

Oratorio per voce sola
di Antonio Tarantino
regia: Giuseppe Marini
con Maria Paiato
scene: Alessandro Chiti
costumi: Helga Williams
musiche originali: Paolo Coletta
disegno luci: Javier Delle Monache
produzione: Società per Attori
Milano, Piccolo Teatro Grassi dal 13 al 18 febbraio 2018

www.Sipario.it, 21 febbraio 2018

Se Stabat mater - nome latino della pièce teatrale - richiama l'incipit di una sequenza cioè un canto liturgico, sorta di preghiera che si diffonde nel medioevo fino al Concilio di Trento per la cui riforma delle circa 5000 sequenze conosciute ne restano in vita solo 4 cui si aggiunge la Stabat mater dolorosa per il Venerdì Santo introdotta nella liturgia da Benedetto XIII nel 1727, il testo originario è attribuito a Jacopone da Todi (XIII secolo) e ha ispirato molti compositori quali Monteverdi, Scarlatti, Pergolesi Rossini...

Antonio Tarantino nello scrivere la sua riedizione - che gli è valsa premi e riconoscimenti - per l'argomento dominante del dolore, la Madre straziata dalla sofferenza e il nome della stessa si ispira in particolare al lavoro commissionato nel 1734 da una confraternita laica napoletana a Pergolesi, ma trasporta la storia dal divino all'umano più misero e reietto in una degradata periferia del nord durante gli anni di piombo.

Maria Croce, infatti, non è più la Madre di Gesù dilaniata dalla sofferenza per il doloroso calvario che porta il Figlio alla morte, ma una donna vicina ai nostri giorni e più precisamente una giovane che, emigrata dal Sud per migliorare la propria esistenza, trova un amante sposato, disonesto, furfante e malavitoso che le offre una squallida esistenza sulla strada e una continua sequela di false promesse che le fanno balenare l'illusione di una famiglia, manifestando cattiva fede e una volontà delinquenziale premeditata, oltre a un figlio da crescere in una sordida società con il rischio che, malgrado sia intelligente, non riesca a seguire una strada onesta.

Uno scorcio di marginalità senza possibilità di riscatto, reietta e dimenticata dalla società e dalla storia, un quadro di miseria umana che annaspa come sempre accade alla miseria, una 'miserabile' del degrado contemporaneo che pare una protagonista spuntata fuori dalle pagine dei Miserabili di Victor Hugo in una realtà più crudamente vera per il fatto che non si tratta di un romanzo, ma di un aggrovigliato concatenarsi di eventi che hanno rattristato e rattristano le nostre vite.

È l'ottima ed efficace Maria Paiato, tra le attrici predilette da Ronconi, in abiti dimessi e pacchiani che nel colore della maglia, ripreso dai capelli, ricordano il manto azzurro della Madonna a dare voce a questa icona contemporanea del dolore, un dolore che grida dal fondo della scala sociale attraverso un linguaggio composito misto di italiano, gergo, dialetto, turpiloquio e bestemmie: una confessione di vita con le sue spigolosità in un momento in cui il dolore e l'angosciante attesa per la sorte del figlio la uniscono a tutti gli abitanti del mondo inserendola nel grande libro dell'umanità dolente, pur se in forme diverse.

Wanda Castelnuovo

Ultima modifica il Giovedì, 22 Febbraio 2018 10:36

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