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RATPUS - regia Manuel Giliberti


Carmelinda Gentile
 in "Ratpus", regia Manuel Giliberti
 Carmelinda Gentile
 in "Ratpus", regia Manuel Giliberti


di Massimo Maugeri

Riduzione adattamento e regia di Manuel Giliberti

Musiche originali di Antonio Di Pofi

Costumi di Lidia Agricola

con Carmelinda Gentile

Messina, Chiesa Santa Maria Alemanna 23 novembre 2014

www.Sipario.it, 25 novembre 2014

Non è un refuso il titolo Ratpus del bel monologo dello scrittore catanese Massimo Maugeri, tratto da un racconto della raccolta Viaggio all'alba del millennio messo in scena con verve creativa e in modo eccellente da Manuel Giliberti nella chiesa gotica di Santa Maria Alemanna di Messina. Ma è così che lo pronunzia Cetti Curfino, al posto del più corretto Raptus, la donna quarantenne bella e poco istruita, che si esprime in italiano dialettizzato o in un dialetto italianizzato, che Carmelinda Gentile (nota per aver vestito in tanti Montalbano televisivi il ruolo di Beba moglie di Mimì Augello, alias Cesare Bocci) veste con grande bravura e passione calandosi in colei che in un qualsiasi quartiere popolare della Sicilia ha perso il marito precipitando da un'alta impalcatura d'un palazzo in costruzione e che per varie vicissitudini l'hanno portata poi ad uccidere, appunto per un raptus, il sindaco del paese. Non è pentita adesso la donna mentre se ne sta all'interno d'una cella a raccontare ad un commissario di polizia (invisibile), piuttosto al pubblico, la tragedia che le è capitata da quando il marito lavorava, portava uno stipendio a casa, pagava l'affitto di casa, riuscendo pure a trovare un po' di felicità insieme ad figlioletto quando tutti insieme riuscivano a fare delle gite fuoriporta con una Seat Marbella di seconda mano. La morte d'un marito si sa per una casalinga senza un lavoro esterno è una coltellata al cuore. I soldi della colletta dei colleghi del marito finiscono in poco tempo e la donna riesce a trovare un lavoro di badante tirando avanti finché la persona accudita non muore. Adesso non sa cosa fare. Si ricorda del sindaco e delle sue promesse di impiego al marito morto. Gli chiede un lavoro, ma le risposte sono evasive. La Curfino ha una sorella il cui marito, posteggiatore abusivo, è attratto libidicamente da lei e dai suoi attributi e per pochi euro cede di farsi (soltanto) toccare. Questo andazzo va avanti per mesi, sino a quando il cognato perdendo quel lavoro precario chiede alla donna di restituirle i soldi che le aveva regalato, proponendole di concedersi per denaro soltanto a individui si sua conoscenza, visto che la moglie non era così attraente come lei. Un motivo valido che le fa balenare in testa di ritornare da quel sindaco e fingere di volersi concedere a lui. Ma male gliene incoglie, perché l'uomo mentre la caccia in malo modo lei esce dalla borsetta delle forbici, che avevano in passato tagliato un nastro d'una manifestazione, e colta da un raptus glieli conficca nel petto. Adesso è lì dietro le sbarre Cetti Curfino. Si rimette addosso il grembiule grigio del carcere e comincia a scrivere la sua storia amara e il pubblico silenzioso dopo 60 minuti l'avvolge con calorisissimi applausi. Una moderna tragedia dell'ignoranza, della povertà, del pregiudizio e della violenza che si muove su un tracciato obbligato, in modo molto simile alla tragedia greca, con paradigmi grotteschi, caratterizzati dall'ignoranza e dall'incultura. Lo spettacolo fa parte della rassegna "Atto Unico" diretta da Auretta Sterrantino per conto dalla "Quasi Anonima Produzioni".

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 25 Novembre 2014 10:40

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