di Tullio Kezich
da Giorgio Bassani
regia: Piero Maccarinelli
con Elisa Amore, Luigi Campi, Simone Ciampi, Federica Flavoni, Riccardo Floris, Simone Francia, Veronica Gentili, Margherita Massicci, Daniele Monterosi, Roberto Pappalardo, Andrea Ricciardi, Adriano Saleri, Pio Stellaccio, Marco Trebian, Federica Vincenti
scene: Paola Comencini
costumi: Sabrina Chiocchio
Roma, Teatro Palladium, dal 10 al 27 aprile 2008
Perché tra gli spettacoli di Piero Maccarinelli Il romanzo di Ferrara è l' unico che non abbia un che d' irritante? Perché non vi sono gli attori di cui Maccarinelli ama circondarsi, gli attori di cinema o di televisione, quelli messi in scena per richiamare il presunto (o reale) grande pubblico. Quegli attori, con Maccarinelli, sembrano fare ciò che vogliono ed essendo, gli attori, fondamentalmente conservatori, fanno e rifanno sempre le stesse, pessime cose. Per fortuna Il romanzo di Ferrara non vanta che giovani attori, ai quali viene richiesto di svolgere un umile compito. Non vi sono acuti o assoli di spicco. Non vi sono scene-madri o memorabili. Vi è una sobria, quieta, quasi didascalica esecuzione di un brano musicale che a sua volta non intende altro che d' essere al servizio di una grande opera. Il brano musicale lo ha scritto Tullio Kezich, un po' come Ennio Morricone avrebbe scritto la sua partitura per un film. Quello di Kezich è un pezzo della drammaturgia di cui è maestro. Egli scompone il macro-testo che è, con il titolo del 1974, l' intera opera narrativa di Giorgio Bassani. Da essa ha tratto tre delle Cinque storie ferraresi (Una lapide di via Mazzini, Gli ultimi anni di Clelia Trotti e Una notte del ' 43) e lo spunto centrale de Il giardino dei Finzi-Contini. Ma il protagonista unico della vicenda è Geo Josz, che compare nel primo dei tre racconti. Il problema è: perché Geo Josz, un tipo così particolare? La scena di Paola Comencini è composta da gradoni che si chiudono nascondendo un grande albero. L' ultimo gradone è dunque un muro di cinta, il muro che separa dal resto del mondo il giardino dei Finzi-Contini, quella specie di club nel quale si gioca a tennis quasi in spregio ai tennis del resto della città. Il tennis, segno di privilegio di una ricca famiglia ebraica, è per il narratore del Giardino il crudele risvolto dell' amore per Micol a lui negato; ma per noi è una metafora del clima di guerra che si va avvicinando, un sublimante rumore di fondo. A un tratto, dal muro escono da sinistra i partigiani vittoriosi e da destra gli operai che fissano in via Mazzini una lapide per ricordare gli ebrei che dopo il 1945 non torneranno a Ferrara, i deportati in Germania. Rispetto a Bassani, Kezich pone in modo esplicito la disputa tra Geo Josz, sopravvissuto ai campi e proprietario della casa che ora reclama, e i partigiani che l' hanno requisita. Quella casa, a chi spetta? Per essere un reduce, Josz è grasso in modo sospetto, nonostante si dica trattarsi, quella deformità, di un edema da fame. Inoltre è piuttosto scorbutico, per non dire risentito. Come può nello stesso tempo essere l' elegiaco poeta, innamorato di Micol, quale Kezich lo rappresenta? In verità, il romanzo è ora diventato il puzzle di Ferrara. Ma alla fine le tessere si ricompongono, il mosaico mostra tutte le sue figure. In Lapidario estense, forse il più bel commento che sia stato scritto sull' opera di Bassani, Domenico Scarpa ci ricorda una poesia di Epitaffio, «Gli ex-fascistoni di Ferrara». Se nel lontano ' 45 Geo Josz aveva dato uno schiaffo al conte Scocca è perché tra i partigiani troppo spavaldi e quelli di prima non c' era neppure da fare il confronto. Come si rivedrà tanti anni dopo, quando a tornare in città sarà lo stesso Bassani (l' antico ragazzo innamorato) e imbattendosi nei vari Scocca sarà lui in persona a dirci che cosa ne pensa, quanto rancore in lui ribolle: quel rancore, benché stemperato dal tempo (e dalla rappresentazione), ancor vivo nello spettacolo di Kezich-Maccarinelli.
Franco Cordelli