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LA ROBA - regia Guglielmo Ferro

"La roba", regia Guglielmo Ferro "La roba", regia Guglielmo Ferro

in occasione dei 100 anni dalla scomparsa di Verga
di Giovanni Verga
con Enrico Guarnieri
e con Giampaolo Romania, Nadia De Luca, Francesca Ferro, Rosario Marco Amato, Elisa Franco, Alessandra Falci, Gianni Fontanarosa, Giuseppe Parisi, Maria Chiara Pappalardo
drammaturgia Micaela Miano
costumi Sartoria Pipi Palermo
musiche Massimiliano Pace
scenografie Salvo Manciagli
regia Guglielmo Ferro 
Produzione Progetto Teatrando
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 7 al 12 marzo 2023

www.Sipario.it, 8 marzo 2023

Cento anni fa ci lasciava uno degli autori più letti, antologizzati, presi ad esempio, citati, compresi – fino a che punto? – della letteratura: Giovanni Verga.
Verismo, ciclo dei vinti, novelle rusticane, mastri don Gesualdo e Malavoglia sbandierati ad ogni piè sospinto per far comprendere all’interlocutore che dell’autore siciliano si conosce di tutto e di più. Il che è anche vero, in un certo senso. Solo che l’immagine che ne deriva e si conserva per via dell’insegnamento scolastico e di una determinata tradizione, è fastidiosa, antipatica, scontata addirittura. E invece non è così. Perché Verga, al di là di categorie storicistiche ed estetiche generali, fu l’autore che svestì la lingua italiana di arcaismi e formalismi dandole una vitalità mai conosciuta prima. Vitalità che ritroviamo in Pirandello, sebbene qui sia già in evoluzione. Ma è indubbio che il taglio narrativo, il periodare, l’uso della punteggiatura, la scelta di parole di uso comune – attenzione: non esclusivamente del dialetto – hanno fatto dell’autore de I Malavoglia colui che ha, in certo senso, inaugurato il Novecento.
E di questo la riduzione teatrale della novella La roba, portata in scena da Guglielmo Ferro con protagonista Enrico Guarneri, in questi giorni al Quirino di Roma, rende ragione. È detto nelle note di regia: l’intenzione è quella di scarnificare e rendere ancora più straniante la tecnica narrativa verghiana, così che la componente verista dell’autore possa emergere in tutta la sua crudezza. Di che parliamo, precisamente? Della severità, scevra da luoghi comuni, con cui è dipinto il protagonista Mazzarò: proprietario insensibile di ettari ed ettari di terra con piante da frutto, coltivazioni, bestiame; sfruttatore di manodopera pagata pochissimo e fatta vivere in condizioni crudeli: lui, Mazzarò, che vive per accumulare e basta; e quando giunge il momento della sua morte ha solo un desiderio: che la sua roba scompaia con lui: questo personaggio, nella riduzione fatta da Micaela Miano, appare ancora più schifoso, rozzo, spregevole. Verrebbe voglia di tirargli frutta guasta addosso per lo sdegno che trasmette.
Enrico Guarneri lo interpreta benissimo. Da attore consumato qual è, non calca i difetti del personaggio. Li fa apparire consustanziali, spontanei. Il suo Mazzarò è qualcuno che non può essere diverso da così. Non sarebbe più lui e la storia non sarebbe più quella scritta da Verga. Ma contemporaneamente Guarneri, così facendo, cerca anche di riscattare il suo personaggio, dandogli – dove possibile – un po’ di umanità. Caratteristica che emerge quando Mazzarò racconta, a sé stesso, i suoi trascorsi da povero.
Ferma restando la buonissima prova d’attore di Guarneri e la buona drammaturgia della Miano, questa Roba mantiene comunque un sottofondo più narrativo che teatrale: lunghe parti raccontate e pochissima azione scenica.
Comunque è uno spettacolo che ha ritmo, ben confezionato e ben gestito da Guarneri: protagonista assoluto – forse un po’ troppo? – della scena.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Mercoledì, 15 Marzo 2023 07:42

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