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ROSA WINKEL (TRIANGOLO ROSA) - regia Maria Federica Maestri

"Rosa Winkel (Triangolo rosa)", regia Maria Federica Maestri. Foto Francesco Pititto "Rosa Winkel (Triangolo rosa)", regia Maria Federica Maestri. Foto Francesco Pititto

di Lenz Fondazione
Progetto Permanente Resistenza e Olocausto
In collaborazione con
ISREC - Istituto storico della Resistenza e dell'Età Contemporanea di Parma

Testo originale e imagoturgia | Francesco Pititto

Installazione, regia, costumi | Maria Federica Maestri

Interpreti | Valentina Barbarini, Giancarlo D'Antonio, Adriano Engelbrecht, Roberto Riseri

Musica | Andrea Azzali
Produzione Lenz Fondazione

A LenzTeatroParma, dal 23 al 28 aprile 2018

www.Sipario.it, 30 aprile 2018

La descrizione dell'atleta in corsa, dei suoi polpacci che scoppiano, del cuore che pompa, dello sguardo in avanti che non deve voltarsi, dei piedi che vanno, del sudore e del respiro, del fiato e dello sfiato, sono i pensieri ad alta voce che udiamo dei tre atleti mentre camminano veloci da un punto all'altro del grande spazio scenico sulle cui pareti scorrono in loop proiezioni in bianco e nero dei loro corpi nudi che si dissolvono in scheletri in corsa. È la visione di forte impatto che accoglie lo spettatore nella vasta stanza della Sala Majakòvskij, sede di Lenz Fondazione situata in quel luogo di archeologia industriale del vecchio complesso manifatturiero di Parma. L'immersione è immediata. Sedici armadietti metallici collocati al centro in due lunghe file speculari lasciano un corridoio in mezzo, e, attorno, un largo spazio per permettere di muoverci in libertà ad osservare, ascoltare, vivere anche noi spettatori dentro la scena-lager e campo d'atletica. Nel campo di concentramento di Mauthausen si consumò una parte della drammatica vita del tedesco Otto Peltzer, tra i più grandi mezzofondisti della storia, internato perché omosessuale, vessato, arrestato e incarcerato diverse volte fino alla sua liberazione da parte degli americani nel maggio del 1945. Ma quel marchio, non riscattabile, gli rimarrà anche dopo, nella Germania post nazista. Non riabilitato trascorrerà in India gli anni successivi insegnando atletica e altri sport ai giovani, fino alla sua morte che giungerà improvvisa, dopo il rientro in Germania, l'11 agosto 1970. Si trovava a Eutin per assistere, tenendo il tempo, alla gara di un promettente indiano, Happy Sikand. Dopo la gara viene ritrovato nel parcheggio della sua auto, stroncato da un infarto. Teneva ancora il cronometro al collo.
La sua vicenda sportiva e umana, poco nota ai più, è diventata oggetto di rappresentazione emblematica della nuova, coinvolgente, indagine performativa di Francesco Pititto e Maria Federica Maestri sul tema "Resistenza e Olocausto". Il titolo Rosa Winkel (Triangolo rosa) fa riferimento al simbolo di stoffa cucito all'altezza del petto sulla casacca degli internati nei campi di concentramento per omosessualità maschile. Una legge del 1871 rispolverata da Hitler, che li accomunava a ebrei, zingari, dissidenti, testimoni di Geova e oppositori del regime, inasprì la repressione estendendola perfino alle "fantasie sessuali", punibili con l'internamento in un Lager. L'umanissimo e denso testo poetico di Pititto s'intreccia con la biografia di Otto – e con resoconti storici di editti e di cronache sulle leggi razziali della Germania Nazista - raccontata dalla voce di Valentina Barbarini, corpo narrante che s'insinua tra le pieghe dei corpi nudi in movimento dei tre performer (Giancarlo D'Antonio, Adriano Engelbrecht, Roberto Riseri). Quel denudamento forzato e pudicamente esposto, smascheramento dell'identità più intima, è la perdita e l'azzeramento dell'unicità e della differenza. E come tale lo percepiamo. Deposti, all'inizio, i loro abiti accanto agli armadietti dentro i quali scorgiamo custoditi diversi oggetti – un secchio, un'asta con microfono, un mandolino, una coperta -, i tre atleti strisciano a terra, vagano, corrono, si nascondono, fuggono strusciando sulle pareti. Poi si rivestono, indossano scarpe, corrono, si avvicinano l'uno all'altro, l'uno dietro l'altro, ripetendo, a più riprese e con delle varianti aggiunte, quei versi che li accomunano: "Vi sono dietro. Io ti vedo, dietro. E vedo, a tratti, anche lui. La nuca, la schiena, i glutei, i polpacci, i tendini d'Achille. ...Tu mi sei davanti, davanti come il futuro che tu non vedi. Io lo vedo, perché mi sei davanti. E lui davanti a te. E corro, e corriamo. ...Sopra la testa il cielo, sotto i piedi la terra, di fianco il niente. Come per te, come per lui. Sento che qualcuno di lato ci guarda. Me, te, lui. Ma non posso guardare, sento ma non guardo, perché corro. Se mi togli l'aria, sono più leggero mi fai un sentiero, di vuoto fuori e di vuoto dentro". E noi li seguiremo spostandoci avanti e indietro, scrutando i loro volti, i loro gesti; seguendo ancora il racconto della donna, ora vestita di nero e col seno denudato, accanto all'uomo seduto su un piedistallo che ruota il corpo e lo sguardo, quasi un fauno imprigionato, mentre tiene in bocca un oggetto insanguinato a forma di coda di cavallo. E rabbrividiremo ascoltando le parole del discorso segreto che Heinrich Himmler fece ai generali delle SS nel 1937, contro gli omosessuali, la cui presenza, stimata numerosa da un censimento, ritenuta una malattia contagiosa e quindi socialmente pericolosa, poteva determinare l'annientamento della Nazione. A urlare quelle invettive sarà un uomo con una lunga vestaglia e un largo cappello mentre danza accanto ad una vecchia poltrona sulla quale sono ammucchiati una miriade di soldatini di plastica. In un crescendo allucinato, l'uomo lancerà con violenza quei soldatini contro il corpo nudo di Otto che avanzerà lentamente e fissamente andandogli incontro. Sottolineata da un inquietante crescendo wagneriano (manipolato dal suono del compositore elettronico Andrea Azzali), l'atmosfera si caricherà di ulteriore tensione. Spostati gli armadi e addossandoli alle pareti, i performer indosseranno gonne color rosa, e, con stracci e secchi alla mano, puliranno il vasto pavimento mentre dei fari accecanti illuminano la semioscurità. E udremo ancora quei versi d'amore e di paura, di terrore e di speranza, per una corsa senza traguardo: "... No, non devi fermarti. Solo correndo fermiamo il tempo, uniamo il durante e il prima, e il dopo è già adesso. ... Solo la corsa ci rende senza tempo, immortali. E allora corriamo, respiriamo, io, te, lui. ... Corriamo insieme, felici, senza alcuna conquista".

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Lunedì, 30 Aprile 2018 18:35

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