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RE LEAR - regia Giorgio Barberio Corsetti

"Re Lear", regia Giorgio Barberio Corsetti "Re Lear", regia Giorgio Barberio Corsetti

di William Shakespeare

Traduzione: Cesare Garboli

Regia e adattamento Giorgio Barberio Corsetti

Con: Ennio Fantastichini 
e Michele Di Mauro, Roberto Rustioni,
Francesco Villano, Francesca Ciocchetti, Sara Putignano

Alice Giroldini, Mariano Pirrello, Pierluigi Corallo, Gabriele Portoghese, Andrea Di Casa

Antonio Bannò, Zoe Zolferino

Scene e costumi: Francesco Esposito

Luci: Gianluca Cappelletti

Musiche composte e eseguite dal vivo: Luca Nostro

Ideazione e realizzazione video: Igor Renzetti e Lorenzo Bruno

Assistente alla regia: Giacomo Bisordi

Roma, Teatro Argentina, 21 Novembre – 10 Dicembre 2017

www.Sipario.it, 13 dicembre 2017
www.Sipario.it, 27 novembre 2017
LA LEGGENDA DEL RE GAUDENTE

Screzi e ripicche, risentimenti e conciliaboli, da tragicommedia borghese, dell'edizione diretta da Barberio Corsetti, protagonista Ennio Fantastichini – Aleatoria, un po' goliardica la regia di Barberio Corsetti- Di scena a Roma, Teatro Argentina e a Palermo, Teatro Biondo (poi in tournée)

Sul filo della memoria, tra l'inizio degli anni '70 e sino a metà dei '90, sono tanti, e non tutti memorabili, gli approcci al Bardo pseudo-eccentrici, "trasgressivi", bislaccamente all'arrembaggio. Con almeno due eccezioni che credo valga la pena antologizzare: "Sogno di una notte di mezza estate" di Jerome Savary (ambientazione circense, mirabolante, avvincente) ed "Ex Amleto", monologo scarno, interiorizzato, 'gioiosamente infantilizzato' dal grande Roberto Herlitzka. E, ai poli opposti, Otelli albini, Macbeth dominati da moglie bambina, Romei e Giuliette metallari e sguaiati come certe 'sagome romane' nei primi film di Carlo Verdone.
Nessuno spiazzamento quindi per il "Re Lear" che tratteggia adesso, con qualche audacia e licenza poetica, un attore onnivoro, passionale, impulsivo come Ennio Fantastichini. Il quale, obbedendo ad un precisa immaginazione registica di Barberio Corsetti, degusta – non senza destrezza, palese esperienza, divertito istrionismo- un sovrano post moderno, vittimista perché polemista, in abito damascato e corona pataccata: e poi, burbanzoso, edonista, garrulo e debitamente "isterizzzato" – come è consequenziale che sia per uno dei protagonisti più significativi della storica avanguardia romana, svezzato dall'underground -doc e dalla proficua collaborazione con le compagnie di Perlini, Nanni, Aglioti. (Va bene... tempo fuggì, ma, per Fantastichini, ebbe inizio una solida carriera cinematografica, che ancora prosegue con cammei pertinenti alla sua ruvida, fragile 'maschera')
Adesso, con "tracotanze e follie" maggiori del fidatissimo "fool", Lear è pronto a di dismettere ogni potere non tanto per scrupolose scelte di senilità o decadimento fisico – pur se ama atteggiarsi a svaporato e mentalmente in slavina- quanto per un carezzato progetto di baldorie e bengodi, cui è pronubo l'incipit dell'allestimento, di cui si fa referto una specie di 'video-dietro-le quinte' dal gusto goliardico e casinista, ove si accenna (pudicamente) ad un'orgetta domestica corredata da iconografie tempestose e di segno astratto- come in alcune 'graphic novel' di Mauro Carac.
Aderente come calzamaglia al testo shakespeariano (nella fluida, scattante traduzione di Garboli), del tutto privo di solennità e ieratiche posture, questo Lear nostro concittadino 'privilegiato', più che sovrano in disarmo (e nonostante la corona da bigiotteria che hanno in testa lui e il suo Matto-alter ergo) appare una sorta di pater-familias prodigale, confusionale, incauto. E le pimpanti figliole, Goneril e Regan, due 'lenze' di rara scaltrezza che, diversamente dalla devota (e sventurata) Cordelia, tradurranno la donazione in dannazione: per se stesse, per il padre e per la varia genia che al loro servizio o complicità.
Brutta dipartita finale che segnerà la sorte anche del Conte di Glocester, diverso dal suo monarca, ma incapace di "vedere oltre" (l'amore genitoriale per il figlio), la cui edipica cecità dell'epilogo fa da supplemento a quanto anticipato dalla "scena madre" dello spettacolo. Che è qui la sequenza della tempesta- magnetica "conficcata" (ma visibilissima e di grande effetto in digitale) dentro la testa di Lear assaltato da irreversibile pazzia, del suo Fool che è tale per mestiere e copione, e del nobile Tom che per fuggire dal padre preferisce fingersi fuori di senno.
Tutto a maggior gloria di una tragicommedia di screzi, ripicche, conciliaboli, che è anche libello antiborghese ed antifamilista, decantato e sradicato da esornativi accademismi da una regia libertaria (nel senso di 'liberi tutti', gli attori in specie), aleatoria, con guizzi di spensierata goliardia, quindi non disposta ad osare sino alla destrutturazione del linguaggio scenico (Barberio Corsetti 'gioca' con la classicità, ma non estremizza e frastorna gli astanti, come nel 'segno' espressivo di Latella). Ma in cui è esplicita l'antitesi (preponderante, ammonitiva) all'assioma del "dividi ed impera", liddove al "potere che si polverizza" subentra, in chi resta, il piacere (masochistico? ...de-responsabilizzante?) di sbarazzarsene al più presto- come apologo di un "ridicolo, persino auspicabile disfacimento del mondo" (per come lo conosciamo)-e che, per quanto ci riguarda, ha i suoi massimi esempi persuasivi in Svevo ("La coscienza di Zeno) e Kurosawa ("Ran", non per nulla 'nipponica lettura' della profetica fonte shakespeariana).
Avvertenza finale: lo spettacolo dura più di tre ore, ma è ravvivato da un tappeto sonoro (in lap-dance) eseguito dal vivo ed a tratti coreografato dagli attori. Fantastichini per primo (If... you Like It)

Angelo Pizzuto

Re Lear, nella regia di Giorgio Barberio Corsetti in scena al teatro Argentina di Roma, avviene ai giorni nostri. Tutti i personaggi vestono, perciò, indumenti moderni: giacche più o meno sontuose a seconda del censo, con camicie e cravatte nel caso degli uomini; abiti lunghi di lineare foggia con scarpe a tacco alto nel caso di donne. I colori non hanno sfumature: sono decisi e netti.
Identiche nitidezza ed uniformità si riscontrano nelle interpretazioni dei personaggi. Lear (Ennio Fantastichini) passa, senza graduazioni, dall'essere gaudente, propenso alla burla e alla vita godereccia, ad accessi di ira violenta conditi con aggressività fisica contro chi si oppone ai suoi desideri. Nella rilettura di Corsetti, il re shakespeariano più non è il vecchio che, giunto al finir dei suoi giorni, abdica in favore delle sue due figlie ipocrite – Goneril e Regan – rinnegando la più sincera e amata – Cordelia. Egli è piuttosto un imbolsito ed irresponsabile monarca, desideroso solo di godersi la vita. Lo si intuisce dalla festa mondana, con tanto di champagne, che apre lo spettacolo, e alla quale si assiste tramite schermo. In tale contesto bacchico, avviene la scena della divisione del regno, dell'abdicazione di Lear, del ripudio di Cordelia e del conte di Kent.
Goneril (Francesca Ciocchetti) e Regan (Sara Putignano), dopo un inizio da fanciulle spiritose e frivole che deridono l'austerità della loro sorella con risate chiocce, si tramutano di netto in donne crudeli e spietate, dal cuore di pietra. Sono severamente impietose verso il padre così come egli lo è stato con Cordelia (Alice Giroldini), la cui limpidezza e austerità caratteriali sono rese per tramite d'una recitazione poco variata, dai toni quasi eguali di battuta in battuta. Fra le tre, è l'unica sorella che veste abiti scuri, quasi a voler contrapporre la sua schiettezza a un mondo ipocrita.
Edgar (Gabriele Portoghese) ed Edmund (Francesco Villano), i figli rispettivamente legittimo ed illegittimo di Gloucester, sono l'uno il negativo dell'altro. Il primo: pacato e sereno, il secondo: astioso, mellifluo, opportunista. Gloucester (Michele Di Mauro) è interpretato come un credulone, un ingenuo agghindato da adulto.
Il Matto (Andrea Di Casa), l'unico che con Cordelia parlano sinceramente a Lear, indossa abiti d'un arancione sgargiante e un ridicolo cappello che rammenta i siparietti dei fratelli De Vico.
Le scene di Francesco Esposito sono ridotte all'essenzialità estrema: uno schermo su cui appaiono le didascalie dei luoghi ove si svolgono le azioni del dramma; e poi semplici poltrone, sedie, tavoli, un telo e un carrello che riproducono i diversi ambienti.
In tale rilettura, la follia di Lear ed i camuffamenti di Kent ed Edgar appaiono più come capricci da bimbi irrequieti che come gravi drammi individuali.
Buona ma faticata si è dimostrata essere, nel complesso, la prova d'attore di Fantastichini, che ha donato a questo Re Lear estremamente essenzializzato un lungo applauso da parte della platea.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Venerdì, 15 Dicembre 2017 10:33

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