di Antonio Tarantino con Maria Paiato, Valter Malosti, Mauro Avogadro, Michele Di Mauro, Mariano Pirrello
regia: Valter Malosti
scene: Botto & Bruno, suono: Giupi Alcaro, luci: Francesco Dell'Elba
costumi: Federica Genovesi
Moncalieri, Fonderie Limone, dal 6 al 24 maggio 2009 (prima assoluta)
produzione Teatro Stabile di Torino e Teatro Eliseo di Roma
Teatro Comunale Odeon di Lumezzane 30 marzo 2010
Un golgota che è una discarica, tre pali della luce che finiscono col farsi tre croci per una crocifissione finale che commuove e si fa potente denuncia poetica della marginalità. Nei dis-sacranti Quattro atti profani di Antonio Tarantino c'è la sacralità disperata del dolore e della violenza, colta con inusitata e stupefacente efficacia da Valter Malosti, regista e attore che ogni volta stupisce per l'intelligenza e l'acutezza del suo pensare e fare teatro. Nella scena cangiante e apocalittica di Botto & Bruno la disperazione di un'umanità folle e derelitta si nutre di lacrime e comicità, si esprime in un flusso verbale d'una lingua dura, poetica, nel senso che nell'essere detta fa, costruisce un mondo, lo esprime nella sua fisicità umorale, nella immediatezza volgare di una rabbia che si esplica nei racconti testamentari di un'umanità derelitta. La Maria Croce, ragazza madre, di Maria Paiato alla ricerca di quel povero cristo di figlio andato in prigione, oppure il calvario dello schizofrenico (Valter Malosti), anch'egli un povero cristo con tanto di cuffia dell'elettrochock in testa al posto delle spine raccontano di un mondo degli ultimi, di coloro che vivono la separatezza e per il loro essere fuori dal mondo sono sacri. Il mondo quei derelitti lo sputano, lo attaccano con un linguaggio di una forza inusitata, un linguaggio poetico ed etico che lascia senza parole chi assiste ai loro racconti. Lascia senza respiro il pianto di un padre (Mauro Avogadro) davanti al cadavere del figlio, il trans Beata Vergine, il suo è un pianto dolente, è la ricerca ultima di una assoluzione possibile per l'al di là. Lustrini, il surreale barbone di Mariano Pirrello morirà assiderato su un palo della luce, crocifisso lui, il violentato dai preti, il frocio cresciuto all'oratorio con ai piedi il suo amico di strada (Michele Di Mauro). Quest'immagine finale del quarto atto profano lascia un senso d'angoscia profonda, dopo che per tutto il tempo dell'ultimo pezzo si è riso per le invettive triviali e potenti dei due contro una Chiesa che è prostituta di Dio e non ancella del Signore. Dire dei Quattro atti profani messinscena da Valter Malosti è dire di un teatro di poesia, un teatro che non scende a compromessi, di una drammaturgia degli ultimi che ferisce il senso comune e i benpensanti, è dire di uno spettacolo che la codardia dei teatri pubblici e privati non sostiene, è dire della censura preventiva dell'arte che ammorba il Paese.
Nicola Arrigoni
Su un Golgota di una periferia metropolitana si intrecciano storie di reietti, quelli per cui la vita è autodistruzione, una fatale giostra spietata e senza speranza. Su questo emblema di Passione, ideata da due artisti Botto&Bruno, che si trasforma in squallido emblema di una società degradata, decomposta, disfatta come gli animi degli uomini, Valter Malosti fa vivere con bella tensione Quattro atti profani ossia «Stabat Mater-Passione secondo Giovanni-Vespro della Beata Vergine-Lustrini» di Antonio Tarantino operando drammaturgicamente sui testi, intersecandoli, trasformando dialoghi in monologhi, tagliando (e forse poco) per dare vita a sgomentanti frammenti dove ragione e sentimento, realtà e follia si fondono e l' uomo si mostra così com' è: miserabile e grandissimo, disgustoso e tenero, degno di «pietas» perché condannato a vivere quella Passione quotidiana che in Tarantino, al contrario di Testori, è solo laica. La parola si svilisce arricchendosi, si fa dialetto, gergo, oscenità, gioco di varianti fonetiche: materia di una condizione ridicola e feroce. La bravissima Maria Paiato è Maria, prostituta con figlio a carico rabbiosa, ingenua, volgare regina di una vita ferita e sconfitta. Malosti è il tenero spiazzante pazzo che si crede il Signore in un quotidiano di medici, burocrazia, infermieri. Mauro Avogadro fa vivere con disperata lucida impotenza la figura del padre all' obitorio davanti alla salma del figlio trans, in uno straziate allucinato lamento funebre. Michele Di Mauro è il trombonesco barbone che ha come compagno di strada il fragile Lustrini, Mariano Pirrello, in una storia d' amore e violenza tra disperati. Una Passione che ha come soggetto l' uomo che afferma con il dolore, l' arroganza, l' ignoranza, la pervicacia dei sensi, la sua esistenza, travagliata e funebre che ha già nella nascita il suo destino.
Magda Poli