di Charles-Maurice Hennequin e Pierre Veber
con Sabrina Ferilli, Maurizio Micheli, Paila Pavese, Virgilio Zernitz, Daniela Terreri, Susanna Proietti
scene: Alessandro Chiti
regia: Gigi Proietti
Milano, Teatro Manzoni, dal 9 gennaio al 4 febbraio 2007
MESSINA (gi.gi.).- Assenzio, corna e can-can erano i dolcini che volentieri la borghesia della Belle Epoque era solita frequentare e mangiucchiare. Ma sulle tre leccornie le corna erano quelle che maggiormente stimolavano la fantasia dei protagonisti, al punto da fare nascere intorno una fiorente letteratura teatrale capitanata non solo da Feydeau, Bilhaud, Coolus, ma anche da Maurice Hennequin e Pierre Veber autori quest’ultimi d’un fortunato vaudeville, La presidentessa, che a distanza d’un secolo gode ottima salute in Francia ma anche in Italia, vestita in passato pure dalla Pampanini, dalla compianta Moriconi e di recente giusto qui al Vittorio Emanuele anche da Ramona Badescu. Adesso ad indossarne abiti e guepière è la bella-brava-temperamentosa Sabrina Ferilli, colta a cantare tutta fru-fru “mi la do, si la do”, in un adattamento di Gigi Proietti che firma pure una ruffiana regia divertendosi ad infarcire il testo con vari dialetti italici. E’ uno spettacolo congeniale per coloro che dicono che la sera sono stanchi e vogliono divertirsi rilassandosi, dove non necessita che la mente vaghi aldilà di quello che si vede e si ascolta, ambientato il primo tempo nell’immaginaria cittadina pugliese nientemeno che di Scoparola e il secondo nello studio romano del ministro della giustizia di origini pugliesi. Quest’ultimo interpretato con grande aderenza e senso comico da Maurizio Micheli che va a letto con Gobette-Ferilli, la bella canzonettista del café-chantant, incontrata casualmente in casa del presidente del tribunale ( Virgilio Zernitz che ricorda un po’ Gino Cervi è calato perfettamente nel ruolo) e ritenuta per un malinteso moglie del magistrato. Le girandole della “presidentessa” Gobette creeranno una serie di equivoci e malintesi e chi se ne avvantaggerà sarà giusto quel magistrato di provincia che in un battibaleno raggiungerà traguardi impensabili. Le scene zuccherine sono di Alessandro Chiti, compresa quella dell’epilogo a forma di grande torta nuziale sormontata dall’accoppiata Ferilli-Micheli, i costumi adeguati all’epoca sono di Mariolina Bono e sono da citare gli altri indovinati protagonisti a cominciare da Paila Pavese (moglie del magistrato, maniaca della pulizia degli oggetti dorati), il capo usciere Miro Landoni, il capo-gabinetto Massimiliano Giovanetti, l’esilarante agente bilingue Gianni Cannavacciuolo, l’amante del ministro Daniela Terrieri, l’impiegato che va in tilt Andrea Pirolli, l’anglofila figlia del magistrato Susanna Proietti ed Ernesto Forlini. Il pubblico del Vittorio Emanuele ha gradito particolarmente spellandosi le mani ad applaudire a più riprese e ancora di più alla fine dello spettacolo che sarà in scena sino a domenica pomeriggio e poi a Palermo.
Gigi Giacobbe
E IL MINISTRO SI LASCIA SEDURRE DALLA FERILLI SCIANTOSA CASERECCIA GAG A GOGO’, quiproquò, porte e armadi per comici equivoci nella «Presidentessa» di Hennequin e Veber, che nel 1912 minacciò a Parigi il primato di Feydeau e che Micheli e la Ferilli interpretano al Manzoni confondendo, per il gaudio del pubblico, Epifania e Carnevale ambrosiano. Ma non si tratta di una museale riesumazione di una pochade Belle Epoque: la brillantissima regia di Proietti trasforma la pruriginosa farsa in un Feydeau casereccio. Non siamo più a Parigi ma a Scopparola, provincia del profondo Sud, e nella Roma post-risorgimentale: clima da operetta, sciabolate caricaturali, esilaranti carrellate sulla stupidità umana, disinvolte allusioni all’oggi. La goduria è imperniata sul vecchio adagio che «dietro a un grand'uomo c'è sempre una grande donna»: là dove il grand'uomo è l'oscuro presidente del tribunale di Scopparola (il sempre giovane Zernitz) e la grande donna, sciantosa e mignottina, è Gobette (una Ferilli in smagliante forma, tra la Vitti e la Loren), che del presidente si finge la moglie, seduce il ministro della Giustizia (Micheli, istrionico e irresistibile come meridionale parvenu), s'insinua fra le lenzuola dell'alta burocrazia romana e proietta il magistrato ai vertici della carriera. Brillano di luce propria, in questa babele comica sullo scontro delle due Italie post-Unità, farsescamente razzista e dialettale (con l'usciere milanese di Miro Landoni che comicamente cospira contro i «terroni»), Paila Pavese (la vera moglie, sciatta, del presidente), Gianni Cannavacciuolo (lunare vigile urbano poliglotta), Susanna Proietti, Massimiliano Giovanetti, Andrea Pirolli, Daniela Terrieri. Nel vortice della farsa il sempiterno, salutare ridere delle umane follie.
Ugo Ronfani
Si può comprendere perché «La presidentessa» di o, meglio, da Hennequin e Veber, in scena al teatro di via Manzoni, sia Io spettacolo che sta incontrando gran successo e attizzi l'attenzione di un pubblico il più largo possibile: quello che cerca un mero teatro d'evasione. Perché lo spettacolo è una vera macchina spegni pensieri e preoccupazioni e il prodotto è costruito senza risparmio. Scenografia faraonica, costumi squillanti e alla ribalta un pool di veri, autentici professionisti della risata capeggiati essi da un fuori classe, Maurizio Micheli, il quale si trova a sua volta ad essere fiancheggiato (o viceversa) da un personaggio femminile popolarissimo cioè Sabrina Ferilli. A mettere in moto poi, e dunque Gran Confezionatore un altro re della scena, Gigi Proietti, il quale pur standosene dietro le quinte, fa navigare la nave in modo tale che essa non perda mai la rotta. Tutto a filare rapido e veloce, tutto con un ritmo indiavolato. Che poi la "pièce", un riadattamento ad hoc per l'italica platea, e da parte dello stesso Proietti, di un vecchio e complicatissimo vaudeville francese firmato agli albori del Novecento appunto dalla celebre coppia sopra citata, proprio un esempio di raffinatezza non sia, al pubblico non sembra interessare più di tanto. Ciò che lo conquista è il ben oliato meccanismo teatrale e non tanto la banale e salace vicenduola che Proietti trasferisce in un'Italietta umbertina spalmandola a piene mani; di color locale; un caravanserraglio di gerghi, di parlate, di dialetti. Vicenduola la quale ruota intorno a una sciantosa pronta a regalare le sue grazie a questo e a quello. La quale un giorno, per caso, nel corso di una tournée in provincia capita in casa di un austero magistrato e da qui a prendere il via una serie di equivoci e di semiboccaccesche awenture fino all'inevitabile happy end che vede Gobette, dopo aver sedotto il suo uomo a furia di bugie e controbugie, diventare la moglie del ministro della Giustizia. Ed ecco la scena, come avrebbe potuto succedere in un spettacolo di Garinei e Giovannini traformarsi in una monumentale torta nuziale. Tavolgente è la Ferilli, vitalissima in un ruolo che è il suo. E Maurizio Micheli (tempi comici perfetti) è una riserva aurea senza fondo di comicità: pochi oggi, nel campo del teatro leggero, sanno tenere la scena come lui. Ma c'è tanta bravura anche nei loro colleghi. Nel ben ritrovato, in una parte comica, Virgilio Zernitz, che nei panni del solenne magistrato di provincia sfodera il suo gran mestiere così come lo sfodera Paila Pavese nel ruolo dell'ambiziosa moglie. Quanto poi a Miro Landoni e a Gennaro Cannavacciuolo, se il primo è un irresistibile e insolente usciere 'lumbard" , il secondo gli dà la replica diegnando uno spassosissimo vigile bilingue. L’ilarità è continua.
Domenico Rigotti
A Milano nella “Presidentessa” si diverte con Proietti e Micheli La morale non è nuova. E non è possibile che se ne abbia un'altra: sono le donne a far girare il mondo, con le loro malizie e i desideri che sanno ispirare e tutto il resto - gli uomini e le loro belle istituzioni - non sono altro che la facciata ridente e un po' buffa, e comunque sempre seria e rispettabile, che vede svolgersi gli eterni giochi della seduzione. Emerge chiaramente da "La presidentessa". Il vaudeville di Hennequin e Veber scritto nel 1912 e ora riadattato da Gigi Proietti che sposta la vicenda nell'Italia giolittiana, adattando la comicità (popolare) al nostro Paese, assegnando ad ogni personaggio una parlata dialettale diversa e punteggiando la rappresentazione di citazioni, motivi, ricordi del café chantant, dell'avanspettacolo, della rivista, con canzonette e scalinate da cui scende la protagonista alla Osiris. Per il resto, rispetta l'architettura del testo ed i canoni del genere. E, quindi, punta sul ritmo vorticoso, sull'accuratezza delle caratterizzazioni e su una girandola d'invenzioni adeguatamente esaltate (con il contributo delle scene mobili di Alessandro Chiti) da una Sabrina Ferilli espressivamente versatile, ironica ed avvenente nelle guepière scintillanti di paillettes che inguainano la sua disinibita subrettina un po' burina e un po' femme fatale ed un Maurizio Micheli, ministro irresistibile, perfetto per tempi, intonazioni, estri. Sono loro a svolgere il gioco vorticoso di entrate-uscite alla Feydeau e battute a raffica, dove Gobette, spregiudicata diva del varietà, cacciata dall'albergo scostumatezza, si rifugia in casa del morigerato magistrato che ha disposto il provvedimento ed è scambiata per sua moglie dal Ministro della Giustizia, giunto per verificare la moralità della magistratura. Ne nasce una girandola irresistibile di tresche sentimentali, equivoci e sotterfugi, con la Presidentessa che seduce il Ministro, l'impalma ed assicura al giudice una clamorosa carriera a Roma. Il lieto fine è così salvo, con tutti i personaggi in scena - gli altri interpreti sono Paila Pavese, Virgilio Zernitz, Miro Landoni, Massimiliano Giovanetti, Gianni Cannavacciuolo, Susanna Proietti - a festeggiare il mondo così com'è, farsa o inganno che possa diventare, non è importante. Quel che conta - e siamo d'accordo - è sapersene divertire.
Franco Cornara
C’è una lealtà di fondo nelle macchine comiche che sono i vaudeville che espongono i loro ingranaggi con onestà, ben oliati da una vitalità che scorre impetuosa sotto le battute. Così è nella pièce «La presidentessa» del 1912 di Hennequin e Veber, bravi artigiani di questo genere che per qualche tempo offuscarono la fama di un genio come Feydeau. Nelle mani di Gigi Proietti, adattatore e regista, il vaudeville si cala nella nostra Italia umbertina, tra la babele di inflessioni dialettali di un Paese unificato solo da una cinquantina d’anni. E con bravura Proietti-regista semina invenzioni comiche rendendo lo spettacolo sapido e scintillante, valorizzando, senza un attimo di calo, la complicatissima trama della commedia tutta equivoci. Perno della vicenda è l'intraprendenza «verace», maliziosa e generosa della bellissima soubrette Gobette, francese quando serve, che riesce a farsi scambiare dal ministro della Giustizia, moralista fustigatore dei costumi, ma sensibile al fascino femminile, per la moglie di un vecchio onesto giudice di provincia, mentre la vera moglie, ex sguattera, maniaca della pulizia degli ottoni è in viaggio verso Roma con la figlia che per un accidente parla solo inglese, lingua sconosciuta in famiglia. Sedotto il ministro in un turbinare di bugie e controbugie, di mosse e contromosse, tra porte che si aprono e chiudono e ambienti che cambiano, la generosa Gobette riuscirà a far fare al giudice una carriera folgorante. Punto di forza dello spettacolo è un’ottima compagnia, Sabrina Ferilli con bravura e travolgente vitalità fa di Gobette un personaggio che conquista, Maurizio Micheli, il ministro, è bravissimo nel disegnare con aria svagata e bei tempi comici un personaggio simpaticamente opportunista. Bravi anche Virginio Zernitz, Paila Pavese e i divertenti Miro Landoni e Gianni Cannavacciuolo e la giovane Susanna Proietti.
Magda Poli