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OPERETTE MORALI - regia Mario Martone

Operette morali Operette morali Regia Mario Martone

di Giacomo Leopardi
Con (in ordine alfabetico) Renato Carpentieri, Roberto De Francesco, Iaia Forte, Paolo Graziosi,
Giovanni Ludeno, Paolo Musio, Totò Onnis, Barbara Valmorin, Victor Capello
Scene Mimmo Paladino, Costumi Ursula Patzak
Suono Hubert Westkemper, Disegno Luci Pasquale Mari
Dramaturg Ippolita di Majo
Aiuto regia Paola Rota
La musica per il Coro di morti nello studio di Federico Ruysch di Giorgio Battistelli (Casa Ricordi - Milano)
Esecuzione Coro del Teatro di San Carlo diretto da Salvatore Caputo
Scenografo collaboratore Nicolas Bovey
Adattamento e regia Mario Martone
Produzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino
Firenze, Teatro della Pergola 25 febbraio al 2 marzo 2014

www.Sipario.it, 26 febbraio 2014

Operette morali in scena,
grazie al regista Martone

Chissà se il sommo e tristo Giacomo Leopardi, nelle giornate in cui nel suo studio di Recanati, correvano gli anni dal 1824 al 1832, vergava inchiostro su bianco foglio il flusso delle parole che via via si dipanavano dalla sua mente tormentata da domande sulla vita, sulla morte, sul genere umano e sulla sua disfatta, formando così il libro delle Operette morali, pubblicato poi nel 1835 a Napoli; dicevamo, chissà se immaginava che, tra gli altri che ci hanno già provato, un giorno un affermato regista, alla guida di un Teatro Stabile come direttore artistico, avesse avuto il desiderio ardimentoso di metterle in scena, firmando la regia, con una squadra di nove attori, di cui due donne, per far sì che il pubblico, giovane o vecchio che sia, potesse apprezzarne, non solo la struttura poetica della lingua, ma anche la valenza contemporanea dei contenuti, dei temi universali degli umani di oggi.
Forse, la sua fantasia proiettata sul futuro, non avrebbe azzardato tanto. Eppure è successo grazie alla passione di meravigliare di Mario Martone.
Chissà da quanto tempo frullava in testa a Mario Martone questo progetto di cui figura anche come adattatore, insieme alla moglie Ippolita di Majo, che in locandina appare anche come drammaturga: mettere in scena le Operette morali, affidandole ad una scrittura scenica, divisa in 14 sequenze, da cui si evince la visione di taglio teatrale di Giacomo Leopardi, ricca di effetti scenici, e sorprendenti elementi scenografici di varia costosità (Mimmo Paladino) e molteplici e variegati bei costumi dai toni che oscillano dal bianco al nero (Ursula Patzak), con sottolineature musicali (per il Coro dei morti di Giorgio Battistelli) e suoni (Hubert Westkemper); scrittura scenica, dicevamo, inserita in un contenitore nero e buio ("spazio mentale", come si ama definire in certe circostanze), con una illuminazione appropriata da capire (Pasquale Mari), con tanto di intermezzo (un po' lungo per un cambio di scena) e intervallo per riprendere fiato ed energia, svolgendo il tutto in due ore e più, inchiodando il pubblico all'ascolto, complesso e soporifero a cui molti hanno ceduto volentieri all'abbandono, e alla visione fantastica di tanta capacità creativa partorita dal regista, col supporto economico ed organizzativo di una istituzione pubblica, quale la Fondazione Teatro Stabile di Torino, perché nessun impresario privato avrebbe azzardato tanto.
Le domande: ha fatto bene? Ha fatto male? Era un atto dovuto al signor "Infinito" di Recanati in tempi di ricorrenze?
Oppure: si tratta di una strategia culturale, per raccogliere l'interesse di un pubblico che a suo tempo ha dovuto digerire i versi di Leopardi votati al pessimismo? E di raccogliere l'interesse di quei giovani che se lo troveranno davanti agli occhi nei programmi scolastici?
Non occorre rispondere. Sta di fatto che Martone, peccando di presunzione, ma anche di grande generosità verso se stesso e verso gli altri, ci ha voluto provare. Se poi il pubblico si tedia, non importa; applaudirà il coraggio profuso nell'operazione, la scelta di stampo culturale in un momento in cui tutti si buttano sul sicuro commerciale, la bravura e la disponibilità degli attori a continui cambiamenti di personaggi, d'interpretazioni e piccole azioni da servi di scena. E gli applausi sono arrivati al Teatro della Pergola dove abbiamo assistito al suo debutto nella Firenze di Dante. Pubblico plaudente abbiamo detto, ma alcuni, pochi in verità, ironicamente alla maniera dei toscani, hanno ribattezzato l'opera di Leopardi in Operette mortali, solo per il tema dominante della morte che si dibatte nel testo. Non per altro.
Gli attori meritano di essere non solo ricordati per aver imparato a memoria dei pistolotti con parti di lessico ormai obsoleto difficile da memorizzare, ma anche per le interpretazioni encomiabili; e sono in ordine di locandina: Renato Carpentieri, Roberto De Francesco, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Giovanni Ludeno, Paolo Musio, Totò Onnis, Barbara Valmorin, Victor Capello. Bravi e convinti del dettato registico.

Mario Mattia Giorgetti

Ultima modifica il Sabato, 01 Marzo 2014 17:08

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