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ORIGINE DEL MONDO (L') - regia Lucia Calamaro

"L'origine del mondo" - regia Lucia Calamaro "L'origine del mondo" - regia Lucia Calamaro

Spettacolo in tre atti
scritto e diretto da Lucia Calamaro
con Daria Deflorian, Federica Santoro, Daniela Piperno
disegno luci di Gianni Staropoli
realizzazione scenica di Marina Haas
aiuto regia Francesca Blancato
produzione e comunicazione 369gradi, PAV
Cascina, La città del teatro, 21 febbraio 2014

www.Sipario.it, 22 febbraio 2014

Avvezzi come siamo alle condotte familiari più ansiogene e disfunzionali, scoperchiate dai media o raccontate dalle arti, non possiamo definire sorprendente né scioccante lo spettacolo scritto e diretto da Lucia Calamaro, che l'anno scorso ha fatto incetta di premi UBU. Lo spaccato domestico che fa da cornice ai tre atti o quadri (Donna melanconica al frigorifero, Certe domeniche in pigiama, Il silenzio dell'analista, questi i titoli assegnati alle tre lunghe sequenze drammaturgiche) è un interno nudo, abitato da una linea genealogica femminile – nonna, madre, figlia – appartenente, si intuisce, alla upper class romana. Un ambiente depresso, egoriferito, nel quale i maschi della famiglia rimangono dietro le quinte, solo occasionalmente adombrati dai discorsi delle donne; mentre gli elettrodomestici (un frigorifero aperto e chiuso compulsivamente, una lavatrice ingovernabile), isolati in una scena semivuota rischiarata da una luce ferente e nosocomiale, diventano presenze monolitiche che non solo individuano lo spazio-tempo della casa, con le sue incombenze e abitudini, ma formano uno scenario iperreale e grottesco. Empatica (con la voluta coincidenza onomastica tra persona e personaggio) e al contempo corrotta da un gradiente di squilibrio, la recitazione delle due protagoniste rafforza la sensazione di inattualità, di abulia: Daria De Florian è la madre Daria, che si impone un'incorreggibile inedia affettiva, mentre Federica Santoro conferisce alla figlia Federica un'infantile ingenuità, sdoppiandosi però nel ruolo della psicanalista, che dovrebbe raccogliere e dissolvere le ossessioni di Daria. Si è dunque portati a individuare nel testo problematiche sociali e di genere; ma è senz'altro riduttivo decifrare lo spettacolo secondo quest'unica chiave. Meglio allora aggrapparsi al titolo, che si spiega non già con l'omonima e scandalosa tela di Courbet, ma con un libro di Carlo Ginzburg che rammemora un mugnaio del Cinquecento giustiziato per aver esposto una teoria della creazione fondata sul caos e sul rigenerarsi della materia. Ed è proprio l'interrogazione sul proprio essere nel mondo a fornire una ragione al lavoro della Calamaro, riversandosi in un flusso coscienziale di eccezionale complessità. Ora contratto al massimo, ora dilatato, il tempo dell'azione si consuma in una sequenza impossibile da riassumere di specchiature psicologiche, di dialoghi coltissimi e inessenziali. Una trama di non-eventi, sovraccarica di citazioni letterarie, poetiche, filosofiche, che come invadenti didascalie o logorroiche note a margine alimentano lo sforzo estremo di razionalizzazione compiuto dalle donne in scena. Sforzo da cui affiora l'incomunicabilità (o meglio la comunione forzata di deserti) come male oscuro e mostruoso dell'età contemporanea, che delega ad oggetti inanimati e individui estranei il compito di surrogare un dialogo urgente e necessario.
Eppure, ai margini dell'intellettualismo e della rarefazione emotiva, lo spettacolo fa circolare dentro di sé un'ironia corrusca e moderna, che tocca il suo apice con l'apparizione della nonna (Daniela Piperno) nel secondo atto: la sua tirata impettita, irrefrenabile, ipercritica nei confronti della figlia, è un gioiello comico che ricompensa, da solo, la fatica di assistere alle oltre tre ore di spettacolo.

Carlo Titomanlio

Ultima modifica il Sabato, 22 Febbraio 2014 12:13

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