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OTELLO – regia 
Jurij Ferrini

"Otello", regia Jurij Ferrini. Foto Luigi De Palma "Otello", regia Jurij Ferrini. Foto Luigi De Palma

di William Shakespeare
traduzione Emilio Cecchi e Giovanna Cecchi
con Jurij Ferrini, Rebecca Rossetti
e (in ordine alfabetico) Paolo Arlenghi, Sonia Guarino, Maria Rita Lo Destro, Agnese Mercati, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Michele Puleio
regia Jurij Ferrini
scene Jacopo Valsania
costumi Agostino Porchietto
luci Jacopo Valsania e Gian Andrea Francescutti
suono Gian Andrea Francescutti – Servizi Teatrali s.r.l.
assistente alla regia Carla Carucci
cura del movimento Rebecca Rossetti
produzione esecutiva Wilma Sciutto
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in coproduzione con Progetto URT

Teatro Gobetti, Torino dal 10 gennaio al 5 febbraio 2023

www.Sipario.it, 1 febbraio 2023

Si entra in sala sempre scettici, quando si va a vedere una riscrittura shakespeariana: «Sarà il solito guazzabuglio intellettualoide, attualizzato e confuso, pretenziosamente fedele all’originale, infarcito di citazioni snob ed erudite. Magari ammiccante alle culture rock e pop». Diciamo francamente che non è mai facile lasciare fuori dal teatro certi (comprensibili) pregiudizi. Eppure, a volte si ha la fortuna di imbattersi in artisti che, grazie a curiosità, passione e coraggioso vigore, riescono a vincere la sfida, gettando una nuova luce sul classico: ed ecco il miracolo della popolarizzazione – nell’accezione migliore possibile – compiersi davanti agli occhi emozionati degli spettatori in platea.

È senz’altro questo il caso dell’Otello diretto da Jurji Ferrini (traduzione di Emilio Cecchi e Giovanna Cecchi), in scena al Teatro Gobetti di Torino dal 10 gennaio al 5 febbraio. Chi scrive tiene bene a mente l’energia che travolge il pubblico davanti alla messinscena firmata da Ferrini, scuotendolo e commuovendolo alle lacrime; grazie al gruppo di giovani interpreti guidato dallo stesso Ferrini (Otello in scena, il più trascinato di tutti!). La storia del generale moro al comando delle truppe della Repubblica di Venezia (reduce da miserie, sofferenze e avventure estreme in giro per i mari) è qui ambientata ai tempi della guerra del Vietnam: i costumi evocano il conflitto che ha insanguinato il sud est asiatico, così anche i teli sullo sfondo su cui vengono proiettate immagini della giungla tropicale (paesaggi che si accendono e si colorano, cadenzando i momenti diversi della tragedia). Nessun’altra scenografia: l’allestimento non prevede oggetti, né arredi; lo spazio è cupo e aperto.

Suggestiva anche la scelta dei Doors come colonna sonora: atmosfere psichedeliche, quasi lisergiche, che ben si accompagnano al delirio amoroso del moro e alle coreografie – minimaliste, concettuali – dei giovani interpreti. In una riscrittura fisica, sensuale – in carne, muscoli e cuore – e che piacevolmente risente di influenze filmiche (lo Stanley Kubrick di Full Metal Jacket, il Michael Cimino di The Deer Hunter, il Francis Ford Coppola di Apocalypse Now… ).

Alla fine questo Otello – più dannato che mai e dal look decisamente rock – non delude le aspettative, né può mancare di commuovere: mentre Jurji Ferrini pronunzia (col suo accento irresistibilmente slavo) la famosa battuta «Ricordate il moro come un uomo che ha amato, dissennatamente sì, ma con tutto sé stesso», il pubblico raggiunge all’unisono con gli attori la sommità della tragedia e dell’emotività, lasciandosi andare a essa e abbracciando così la magia del teatro. 

Giovanni Luca Montanino

Ultima modifica il Giovedì, 02 Febbraio 2023 22:16

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