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OPEN. LA MIA STORIA - di André Agassi

"Open. La mia storia", di André Agassi. Foto Salvatore Pastore "Open. La mia storia", di André Agassi. Foto Salvatore Pastore

di André Agassi
traduzione di Giuliana Lupi
lettura scenica di Invisibile Kollettivo
con Nicola Bortolotti, Lorenzo Fontana, Alessandro Mor,
Franca Penone/Debora Zuin, Elena Russo Arman

Luci Matteo Crespi
Produzione Teatro dell'Elfo
A Milano, Teatro Elfo Puccini, dal 5 al 17 novembre 2019

www.Sipario.it, 18 novembre 2019

Inizia con il video a tutto schermo della finale degli Us Open 2006. Riviviamo così una delle più emozionanti partite della storia del tennis, che segnò la sconfitta di André Agassi, il quale, alla vigilia del torneo aveva annunciato che quella sarebbe stata la sua ultima stagione. Dopo l'ultimo servizio vincente dello sfidante Benjamin Becker, Agassi lasciò il campo. Vi ritornò piangendo riverso sulla sua sedia salutato da uno stadio gremito all'inverosimile. E mentre i 23.000 in piedi sugli spalti gli riservavano un lunghissimo applauso, profondamente commosso alla fine si rivolse al pubblico dicendo: "Il tabellone dice che ho perso, ma quel che non racconta è ciò che ho avuto negli ultimi ventuno anni. Ho avuto lealtà. Mi avete sostenuto sui campi e nella vita. Ho avuto ispirazione e ho trovato voi, che porterò con me per tutta la vita". A chi non lo conosceva al di fuori dello sport; a chi non ha letto il libro della sua vita; a chi sa appassionarsi alle storie vere, ricche di umanità, verrà sicuramente il desiderio, dopo aver visto lo spettacolo Open. La mia storia, di approfondire il personaggio Agassi, star del tennis e icona degli anni Novanta, diventato un campione nonostante odiasse quello sport. E magari correrà a prendere in mano la sua autobiografia dal titolo omonimo, raccolta dall'amico e Premio Pulitzer J.R. Moehringer in un best seller del 2009 diventato celebre anche per essere uno dei libri più appassionati contro lo sport scritti da un atleta. È impresa non facile trasporre sul palcoscenico un testo non teatrale, e, ancor più, senza una trama precisa, né un intreccio narrativo fra personaggi e fatti. Coraggiosa ed esemplare, quindi, la trasposizione che ne ha fatta la compagnia Invisibile Kollettivo costruendo, con levità drammaturgica e sguardo acuto, una sintesi narrativa e visiva di fervida immaginazione, quasi una favola, confezionando un racconto universale, di formazione, facendoci conoscere l'umanità della persona, intrisa di consapevolezza, umiltà, malinconia, ironia, lungimiranza. Tutti i cinque attori (i bravi Elena Russo Arman, Franca Penone, Alessandro Mor, Lorenzo Fontana e Nicola Bortolotti), di volta in volta, impersonano Agassi coprendosi semplicemente il viso con un cartone sul quale è incollata la foto del grande tennista statunitense nelle varie età della sua vita, o con altre immagini cartonate di ingrandimenti di dettagli del suo corpo nelle diverse posture di giocatore in campo. A turno sono anche narratori – prendendo il libro, sempre presente, e leggendo alcuni brani che fungono da raccordo -, e mutano nei diversi personaggi appartenuti alla sfera più personale e famigliare di Agassi e al campione sportivo. Primo fra tutti il padre, immigrato iraniano e portiere in un hotel a Las Vegas, figura determinante della sua storia, persona rissosa, con un passato da boxeur e il pallino per il tennis, sport che impone al figlio fin da bambino volendone fare un campione ad ogni costo. Al ragazzo il tennis però non piace, persino lo odia ma è costretto a sottostare al volere dispotico del padre, il quale gli congegna una sorta di drago lanciapalle per costringerlo a colpire tutto il giorno con la racchetta migliaia di palline. Quello fu solo l'inizio. «Dicono che mi voglio distinguere – scriveva quando era già al successo –. In realtà sto cercando di nascondermi. Dicono che cerco di cambiare il tennis. In realtà sto tentando di evitare che il tennis cambi me. In sostanza, non faccio altro che essere me stesso e poiché non so chi sono, i miei tentativi di scoprirlo sono maldestri e fatti a casaccio e, ovviamente, contraddittori». I passaggi salienti della sua carriera, l'ascesa e la caduta, la gloria e le sconfitte, le crisi, lo star system, l'adorazione dei fan, gli avversari (Pete Sampras quello di sempre), la ribellione e lo svelamento, le critiche ("Dopo avermi definito un ciarlatano, un artista del fiasco, un ribelle senza causa, adesso mi trattano come una celebrità" disse dopo essere tornato al successo con la vittoria a Wimbledon) vengono resi con una serie di quadri scenici e dei flashback. Dall'iniziale ingresso con dei piccoli registratori dai quali gli attori ascoltano l'intreccio di voci di diverse interviste per scegliere infine quella di Moehringer (André racconta che per mesi ha parlato con lui mentre un registratore era acceso); al finale con l'ombra del tennista felicemente in azione da dietro un telo gonfio e svolazzante illuminato da una luce rossa. Nel mezzo, tra una musica di Chopin, Purple rain di Prince, My way e That's life di Sinatra, saranno scorse altre sequenze che tracciano, con divertenti sketch, il suo percorso: dal periodo alla Bollettieri Academy del mitico coach Nick, caratterizzata da riti e ritmi infernali da cui Andre tentò invano di fuggire, e dove, destando scandalo, si presentò truccato, in jeans e con gli orecchini; al matrimonio con Brooke Shields, seguito dal divorzio e le seconde nozze con la collega Steffi Graf dalla quale ebbe due figli; le copertine glamour e la frequentazione del jet set. E, ancora, altri aspetti salienti: come la fissazione per il borsone che teneva meticolosamente organizzato con le otto racchette impilate in ordine cronologico («La borsa da tennis assomiglia molto al tuo cuore: devi sapere in ogni momento cosa c'è dentro», era solito ribadire); o il dramma che visse per la caduta dei capelli, suppliti per un breve periodo con un parrucchino, qui reso dagli attori con un divertente tentativo di tenerlo appiccicato in testa a uno di loro con dei batuffoli di capelli sfilacciati, e poi fatto volare; fino all'ultimo match contro Baghdatis fatto di agitazione, dolore, terrore, panico. A sintetizzare lo spettacolo c'è, tra le tante citazioni, un passaggio del libro: «Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta. Per quanto voglia fermarmi non ci riesco. Continuo a implorarmi di smettere e continuo a giocare, e questo divario, questo conflitto, tra ciò che voglio e ciò che effettivamente faccio mi appare l'essenza della mia vita...». E ancora: «Anche se non è la tua vita ideale, puoi sempre sceglierla. Quale che sia la tua vita, sceglierla cambia tutto». E lui finalmente scelse, definitivamente, continuando la perenne ricerca di se stesso e del suo sé più autentico.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Lunedì, 18 Novembre 2019 18:08

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