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NAVE DELLE SPOSE (LA) - regia Giuseppe Dipasquale

La nave delle spose La nave delle spose Regia Giuseppe Dipasquale

di Lucia Sardo e Elvira Fusto
Impianto scenico e regia di Giuseppe Dipasquale. Costumi di Marella Ferrera. Musiche originali di Mario Incudine. Movimenti coreografici di Donatella Capraro. Luci di Franco Buzzanca
Con : Lucia Sardo, Miko Magistro, Ornella Brunetto, Annalisa Canfora, Giada Colonna, Valeria Sara Costantin, Enzo Gambino, Rosario Minardi, Clio Scira Saccà, Federica Sandrini, Luana Toscano, Lucia Fossi, Marina La Placa, Liliana Lo Furno, Viviana Militello, Ramona Polizzi, Lucia Portale, Giorgia Sunseri, Irene Tetto, Luca Iacono, Alberto Mica, Nicola Notaro, Francesco Russo.
Prod. Teatro Verga di Catania, Catania dal 8 al 30 marzo 2012

www.Sipario.it, 28 marzo 2012
www.Sipario.it, 16 marzo 2012

Prima di ogni altro encomio, è doveroso sottolineare il proficuo sforzo produttivo che, in tempi di carnivora depressione economico-culturale compie lo Stabile di Catania nell'allestimento de "La nave delle spose", indubbiamente lo spettacolo più impegnativo, sedimentato, significativo di una stagione titolata, come già scritto, all' 'altra metà del cielo'. Ovvero ai labirinti di peripezia morale e materiale in cui –da millenni- è spinta a dimenarsi (a 'farsi menade') la donna del sud, la 'madre mediterranea'- riflessa nelle tribolazioni della femminilità in altri sentieri di emarginazione, sottomissione, subalternità ai decaloghi di quel maschio che, furente o edipico (o entrambe le cose) raramente riesce ad affrancarsi dalla precipuità, dal 'privilegio', dalla 'paura' di essere, nessuno escluso, un 'nato da donna'.

Di qui, la presenza in cartellone di opere emblematiche e cittadine del mondo come "La mennulara", "Signorina Giulia", "La commedia di Orlando", "Ifigenia in Aulide", alle quali la drammaturgia di Lucia Sardo ed Elvira Fulvo apporta un laborioso surplus di memoria dolente, di eterogenee potenzialità espressive, di una 'narrazione del teatro' in grado di dipanarsi non per canoni acquisiti ma lungo un composito mosaico di integrazione tra canto, musica, coreografie, scaglie di parole e di oniriche premonizioni. Perfettamente armonizzate dalla regia di Dipasquale e dalle cesellate coralità di danze e pantomime, a cura di Donatella Capraio.

Tutto ha inizio -e fine - dalla tradizione orale di accadimenti realmente patiti. Non solo da donne, ma anche da poveri, zotici contadini che, all'inizio del secolo scorso (specie negli anni trenta) varcavano l'Atlantico, su orfici bastimenti, alla volta dell'Oltremare ignoto, della mirabolante America (così come immaginata, ad esempio, dal grande Kafka), del Continente di una speranza che, in quanto tale, è contigua ad una morte esorcizzata, rimandata, ma non eludibile, se non nel corpo, certamente nell'anima.

La scrittura scenica s'incentra (come del resto il titolo) sulla condizione delle donne maritate per procura, ammassate sulla nave da una sorta di 'Orco solo al comando' (l'ottimo Miko Magistero), cavernoso di voce e lesto di smaneggi .

Tuttavia il sentimento di doglianza, di arcaica 'com-passione' accomuna l'ignoto di una condizione maschile che dirama (anch'essa) da un retroterra di miseria, malnutrione, fatiscenza secolare.

Una 'diceria dell'America', quindi, che è sismografo inquieto di mito e di rito, non diversamente dal "Nuovomondo" di Crialese, che fu film ambizioso e parzialmente risolto nelle sue pieghe di realismo onirico. Lo stesso che, in questo caso, riesce a palpitare come negli anfratti di un lager galleggiante, soffocato da luminosità grigiastre ed improvvise apparizioni di cielo stellato, ad incrementare la vulnerabilità, la cosmica solitudine di un natante (dei suoi abitanti) a ramengo nell'infinito (leopardiano?) e nell' immane distanza da quell'emisfero terragno che –per molti- era l'unico orizzonte del vivibile.

Mito e rito, torno a dire, credo siano le due sponde 'oceaniche' del viaggio coatto: sia nel sentimento della metafora (America o Ade sono la stessa cosa), sia nella lacerazione dello sradicamento fisico. Il primo rappresentato dalla negata palingenesi dell'approdo ('a Nuova York, sotto la statua della Libertà'), il secondo costituito dalla vivida materia scenica che è 'canto trasmigrante' verso un altrove abitato da altri sventurati (compaesani) incapaci di rapportarsi ad una donna che non parli lo stesso dialetto. Donne migranti, donne in effige (per riconoscersi allo sbarco), donne divorate da mostri marini che, durante un epilogo da tifone elisabettiano, naufragheranno in quella distesa di corpi inerti, madidi, sfiniti, donde non è dato sapere se alcune sopravvivranno.

Sia in senso concreto, sia rispetto all'incubo onirico che è dimensione espressiva, irreparabile di un'esperienza di teatro avvincente e convincente. Che sarebbe ingiusto se non avesse un seguito almeno in quell'altro Continente che per quest'isola è il resto d'Italia.

Angelo Pizzuto

Sembrano lapidi viventi quelle donne agghindate da Marella Ferrera con tutte le sfumature dei grigi sino ai neri con in mano i ritratti veri o falsi di quegli uomini che sposeranno una volta giunte in nave negli Stati Uniti. Sono lì in una sorta di stanza della tortura mentre scendono dall'alto funerei abiti da sposa e una lignea scaletta è pronta ad accoglierle nel suo ventre ferroso. E' La nave delle spose, un testo dall'impianto classico, che ha come modello Le Troiane di Euripide, scritto in lingua e in dialetto siciliano da Elvira Fusco e Lucia Sardo, quest'ultima pure nei panni di Annaluna, la narratrice visionaria che ha perso un figlio in una tempesta, che non scende mai a terra quasi fosse parente di quel pianista sull'oceano di Baricco-Tornatore, di certo una corifea che fa il paio con il Giovanni Capra di Miko Magistro, un Caronte dalla voce tonante che registra i passeggeri, li divide tra uomini e donne, li addottrina pure sulle prove che dovranno sostenere nell'isolotto di Ellis Island, il centro d'immigrazione di fronte a Manhattan, una volta giunte nel porto di New York. Più che un felice viaggio sembra una deportazione di donne tra gli anni '30 e '40 su una nave della speranza, quasi come avviene ai giorni nostri a quegli immigrati clandestini, in particolare africani, alla ricerca d'una terraferma che fanno lacerare le nostre coscienze e il nostro senso di democrazia. In scena sedici donne e sette uomini, ben coordinati dai movimenti coreografici di Donatella Capraro, per i quali conosceremo alcune schegge delle loro vite vissute. Gina ( Ornella Brunetto che canta belissimo) è un'orfanella cresciuta in un convento di suore. Rosa (Federica Sandrini) è una ragazzina di 12 anni che avrà le prime mestruazioni giusto durante il viaggio. Emma (Annalisa Canfora) è una sensuale prostituta ammalata di Tbc che morirà in nave. Maria (Valeria Sara Costantini) è la pastorella sordomuta. Jolanda (Luana Toscano) ha uno sfregio sul volto, fugge dal marito mafioso ma il suo karma è quello di legarsi a uomini violenti come il Capra. Giulia (Giada Colonna) è una viaggiatrice aristocratica. Concetta (Clio Scira Saccà) è la suicida. Enzo Gambino è il malamente Ninuzzu, Rosario Minardi il campagnolo che vuole fare il pugile. Uno spettacolo corale, diretto con mano sicura da Giuseppe Dipasquale (suo pure l'impianto scenico), quasi un album di dagherrotipi, con alcuni bei momenti come il bagno di quel gineceo dentro capienti tinozze, il valzer ballato da tutti al suono d'una fisarmonica (le musiche originali sono di Mario Incudine), il cielo stellato sopra le loro teste come in alcune acqueforti di Casorati raffiguranti la Via Lattea. Successo del Teatro Stabile di Catania e repliche al Teatro Verga sino al 30 marzo.-

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 06 Ottobre 2013 12:31

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