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NOSTRE ANIME DI NOTTE (LE) - regia Serena Sinigaglia

Lella Costa e Elia Shilton in “Le nostre anime di notte”,  regia Serena Sinigaglia. Foto Martina Alessi Lella Costa e Elia Shilton in “Le nostre anime di notte”, regia Serena Sinigaglia. Foto Martina Alessi

dall’omonimo romanzo di Kent Haruf
adattamento e traduzione Emanuele Aldrovandi
con Lella Costa, Elia Shilton
scene Andrea Belli
costumi Emanuela Dall’Aglio
scelte musicali Sandra Zoccolan
disegno luci Roberta Faiolo
regia Serena Sinigaglia
produzione Teatro Carcano in collaborazione con Mismaonda
Vicenza, teatro Comunale, 28 e 29 marzo 2023 

www.Sipario.it, 30 marzo 2023

Certe volte, sottolineo certe, basta un certo stile degli autori americani per indirizzarsi, da subito, in alcune partecipazioni collettive che abbracciano la retorica, cosa alla quale ormai ci hanno abituato con un certo cinema, un certo teatro. Non sfugge a ciò, nonostante una parte di stato emotivo rappresentato, anche “Le nostre anime di notte” tratto dal romanzo di Kent Haruf che punta alla commedia facile, dove due persone anziane vivono un sentimento dapprima leggero e in qualche modo forzato, fino allo stato finale di recupero dello stesso dopo che sembrava esser andato perduto. I due iniziano a frequentarsi perché vicini di casa, entrambi vedovi, soli, con un’amicizia felpata, inizialmente, ma che si alimenta di dialogo e scoperte intime, dove non manca certo il pluridramma su cui indugiare. Gli animi più sensibili vengono catturati, e anche piangere o avere qualche lacrimone può essere uno stato di grazia che fa bene, uscendo dal teatro dove si è rappresentata la commedia favolistica, dolce, toccante. L’intimità notturna cercata da Addie e subito apprezzata da Louis sa di qualcosa di abbastanza inverosimile, mentre è il proseguo della storia, nelle sfumature del testo (seppur, appunto, farcito di dramma) a convincere di più. Quando si toccano certe corde intime, anche nel cuore dello spettatore, ben presto si va a colpire, ma anche questo fa parte del gioco del teatro, della letteratura. I due per tutta la durata della piéce si frequentano a volte più a volte meno, si coricano assieme, fanno crescere in qualche misura volutamente il loro amore, bello da vedere, ma come direbbe Gaber, “guai se manca quel minimo di superficialità necessaria”. Che a bene vedere non riguarda neanche tanto il testo di Haruf, che può piacere o meno, ma il come è stato portato in porto il progetto.  I due attori sul palco, Lella Costa e Elia Shilton tengono bene i loro personaggi, forse si atteggiano in qualche momento più di altri, anche se in certe occasioni i toni vengono calcati. Ma i due vengono disturbati visivamente, difficile negarlo, da un terzo incomodo vestito di nero, una specie di servo di scena che li guarda da fuori, che poi è “dentro” la scena, seduto su alcuni bauli, pronto a prendere i materiali che gli vengono via via passati, nello smontaggio crescente della camera protagonista. Quel non personaggio rovina non poco il tutto, che già non era di per sé un capolavoro. La scena viene come detto smontata a pezzi, cercando un’innovazione registica discutibile, che vuol originalizzare uscendo dai binari emotivi di base, dentro i quali la storia avrebbe retto un pochino di più. Cosicchè i momenti migliori dei due interpreti  sono quelli cantati, e chaplinianamente appena abbozzati nel ballo in un dialogare di morte, speranza, forse rinascita, finchè possibile. Malinconicamente a loro rimangono i ricordi, con lo sforzo di voler ancora guardare avanti, lecitamente, nell’evolversi della situazione. Mi rimane un dubbio, di come sia stato possibile appunto apprezzare certe scelte tecniche, che all’emozione comunque hanno dato una zappata sui piedi. 

Francesco Bettin

Ultima modifica il Venerdì, 31 Marzo 2023 08:12

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