di Marco Falaguasta, Tiziana Foschi, Alessandro Mancini
Con Marco Falaguasta
Regia di Tiziana Foschi
Produzione di Good Mood
Roma – Sala Umberto dal 17 Marzo al 20 Marzo 2022
Sosteneva Enrico Vaime che noi rimpiangiamo quello che ci faceva schifo, al punto che dire del passato: “Bei tempi!” significa una cosa sola: che siamo sempre andati peggiorando. Che la gioventù di un tempo fosse certamente migliore di quella dei nostri figli o nipoti e che un mondo senza telefonini o Internet fosse più sano e meno distorto dell’attuale: tutto ciò è innegabile. Ma fino a che punto? Questa la domanda che si pone Marco Falaguasta col suo Neanche il tempo di piacersi revolution, spettacolo di un paio d’anni fa e che torna sul palco della Sala Umberto.
Una stand-up comedy di stampo classico, organizzata drammaturgicamente per blocchi tematici indipendenti ma legati da un filo rosso – i vecchi e i giovani a confronto – tutti accomunati da una riflessione che, nell’atto stesso in cui viene formulata, finisce per assumere i tratti della certezza: bollare come stupidi i giovani d’oggi e l’epoca che vivono ed esprimono è cosa sciocca. Da qui, in retrospettiva, Falaguasta racconta alcuni episodi che hanno caratterizzato la sua giovinezza e la sua adolescenza: i primi amori, il rapporto con genitori e parenti più autoritari e dittatoriali, i divertimenti, le feste di carnevale con le maschere più assurde e imbarazzanti, la tendenza delle vecchie generazioni di conservare tutto e di risparmiare su tutto, i modi di dire e di protestare contro ciò che non si condivideva. Di questi comportamenti, di queste situazioni si ride, perché ne vengono mostrati i lati più paradossali, ma che allora tali non sembravano perché quella era la normalità.
E quindi la domanda che si pone Falaguasta è: con quale diritto io genitore posso giudicare e criticare negativamente quello che fanno i miei figli? Una chiave drammaturgica scaltra, che elimina alla radice il rischio di cedere alla retorica e agli stereotipi più frusti e stinti nell’affrontare tematiche sul confronto intergenerazionale.
La recitazione, trattandosi di una stand-up comedy, ricalca lo stile tipico dello storyteller, del narratore: tutto fluisce in un racconto, qui e lì interpolato da dialoghi incentrati su situazioni emblematiche. Ma fondamentalmente è la descrizione dei fatti a prevalere. Falaguasta non ricorre a una grande espressività mimica (eccetto uno strabuzzare simpatico degli occhi), prediligendo, invece, la sottolineatura verbale di una battuta o di un tempo comico.
A voler essere cavillosi, forse in alcuni istanti è un po’ mancato il dialogo diretto con il pubblico, anche in termini di ascolto da parte dell’interprete di come la platea reagiva a una battuta regolandosi, così, di conseguenza e cambiando il ritmo recitativo. Ma si tratta di dettagli.
Nell’insieme si è trattato di uno spettacolo piacevole, leggero, mai banale. Nel finale, forse, lievemente retorico (“Abbiamo due orecchie e una bocca per ascoltare di più e parlare meno”). Ma il divertimento è assicurato, così come è assicurata la certezza di uscire con l’animo sereno che, in fondo, nulla volge del tutto al peggio.
Pierluigi Pietricola