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MADE IN CHINA / POSTCARDS FROM VAN GOGH - regia Simone Perinelli

Claudia Marsicano in "Made in China", regia Simone Perinelli. Foto Nico Bruchi Claudia Marsicano in "Made in China", regia Simone Perinelli. Foto Nico Bruchi

uno spettacolo de Leviedelfool
drammaturgia e regia Simone Perinelli
con Claudia Marsicano, Simone Perinelli
aiuto regia e consulenza artistica Isabella Rotolo
musiche originali Massimiliano Setti
disegno luci Marco Bagnai
foto Nico Lopez Bruchi
grafica Giacomo Trivellini, Federico Bassi
produzione Fondazione Teatro della Toscana
PRIMA NAZIONALE
Teatro ERA, Pontedera (PI) dal 1 al 4 ottobre 2015

www.Sipario.it, 11 ottobre 2015

Sibilo elettronico molto forte, poi una melodia dolce, probabilmente resa dalle note pizzicate dei liuti tipici della musica tradizionale cinese. Entra, su una scena bitonale dal fondale scuro ed il pavimento bianco, una donna (Claudia Marsicano) con le bacchette tra i capelli ed un ombrellino giallo cinese. Seduta in ginocchio al centro della scena, dal suo viso non trapelano espressioni, finché non inizia a far girare l'ombrellino, prima molto lentamente poi sempre più veloce e piano piano, insieme all'intensificarsi della musica che si colora di accenti sempre più vivaci, le si apre un bellissimo sorriso sul volto. Un ombrellino che diventa una macchia di colore, una stella, un sole, un girasole.
Questa la prima immagine che ci introduce nel nuovo lavoro del regista ed attore romano Simone Perinelli de Leviedelfool, il quale porta in scena un complesso spettacolo fatto di potenti monologhi e passi a due con la brava ed espressiva Claudia Marsicano, sviluppato su quattro quadri poetici, per ognuno dei quali si creano cortocircuiti di senso dati dal contrapporsi di momenti lirici biografici ad alta carica emotiva con interludi comici più leggeri e fruibili.
Uno spettacolo per Van Gogh, dedicato al celebre artista/operaio, autore di 846 tele, 1000 disegni, 821 lettere, a lui ed al suo genio pittorico, alla sua vita ed alla sua follia. Perinelli porta in scena una parte della vicenda biografica del pittore, l'ultima, quella del periodo di Arles, sì il più potente, ma è anche quello dove più emerge la psicosi. E lo fa attraverso le sue opere, il testo prende vita tramite richiami e suggestioni date dall'attenzione per i dettagli di quattro quadri scelti, si va da "Autoritratti con orecchio bendato", "La sedia vuota", "La notte stellata", "La Camera di Vincent ad Arles".
E qui che si mette in moto il cortocircuito. Antitesi concettuali atte a spiazzare ed incuriosire al contempo. L'artista/operaio olandese, contro l'operaio/artista cinese. Due rette parallele che non si incontrano. Una realtà che guarda con attenzione ai dettagli, ai significati, alla profondità, ad una ricerca dell'unicità dell'opera d'arte, alla sua eternità, autenticità artistica ed irriproducibilità. Mentre l'altra è il suo contrario, è il "Made in China", è la superficialità, la riproducibilità a basso costo, è il mondo vuoto fatto dell'esteriorità dell'oggetto d'arredamento, dell'imitazione infallibile a catena di montaggio di opere d'arte, ma anche quello delle borse Gucci taroccate, degli I-Phone falsi, del "selfie" pre-costruito ed effimero, che perde di valore nel momento stesso in cui viene condiviso.
Basi portanti di quest'ultimo nucleo narrativo sono l'intervallo brillante dell'attrice su "le 5 regole del selfie perfetto", nonché la scena del colpo di pistola (suicidio/omicidio?) dell'operaio cinese, sovraccaricato di lavoro e costretto dal padrone a riparare e fare orli a pantaloni in pochissimo tempo.
"Ogni cosa che fai è un autoritratto", "Ogni cosa che pensi è un autoritratto". Ed è così che Perinelli mette in moto un lavoro teatrale solido e ben costruito, attraverso un primo monologo sull'autoritratto e sui dettagli, non alludendo solamente al noto quadro del pittore, perché tutto ciò che facciamo e diciamo parla di noi, anche il modo in cui è organizzato il nostro spazio, la nostra casa, le nostre cose, perfino gli spazi vuoti parlano di noi. Da qui arriva poi il collegamento al Feng Shui, filosofia orientale per l'arredamento d'interni che guarda ai colori ed al posizionamento degli oggetti. Non esiste solo il colore per il pittore, usato dall'artista per esprimere le vertigini della sua mente.
Monologhi in cui Perinelli riesce a dare chiara voce all'interiorità di Van Gogh, alla sua disperazione, i suoi sentimenti, le paranoie, i comportamenti compulsivi. "Stai zitta!" urla Vincent cercando di scacciare la voce nella sua testa. Proprio sulla rappresentazione della follia del pittore si fonda lo spettacolo, tramite le lettere al fratello Theo, alla sorella Wilhelmina e ad Emile Bernard, ne riporta il rapporto con le donne, con il fratello, con Gauguin.
Made in China ci travolge e trascina ad un livello di sensazioni superiore, anche grazie al gioco di luci in scena creato da Marco Bagnai e nondimeno dalle bellissime musiche originali di Massimiliano Setti de la Compagnia Carrozzeria Orfeo. Emozioni palpabili che ci portano in mondo intimo e tormentato, quasi sempre scuro, notturno. Prima all'interno di un manicomio, poi di fronte a due sedie vuote, nel silenzio rotto dalle voci, dai presagi di morte, dal gracchio dei corvi, dalle frasi ripetute in modo ossessivo.
"Aspiro alle stelle che non posso raggiungere", scriveva Van Gogh. Sono le aspirazioni di un genio che lo rendono tale. Esse hanno reso la sua meticolosa ricerca, la sua mano vorticosa, un tratto distintivo unico, non replicabile e non esauribile: un'opera d'arte.

Benedetta Buti

Ultima modifica il Domenica, 11 Ottobre 2015 11:01

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