regia Oskaras Koršunovas
con Povilas Budrys, Airida Gintautaite
scene Dainius Liškevicius
costumi Aleksandras Pogrebnojus
composizione musicale Antanas Jasenka
disegno luci Eugenijus Sabaliauskas
disegno suono Ignas Meilunas
scultore figura danzatrice Donatas Jankauskas
Produzione OKT - Vilnius City Theatre / Lituania
Teatro del Giglio, Lucca, domenica 12 maggio 2013 – PRIMA NAZIONALE
Ogni passaggio di Oskaras Koršunovas sui palcoscenici italiani va seguito con interesse particolare, sia per documentare un'attività molteplice e prolifica, che ci giunge con un ritardo più vicino ai tempi siderali che a quelli di un fuso orario (la "prima" di Miranda è del 2011), sia perché la libertà inventiva del regista lituano ha poco a che fare con il nostro panorama teatrale, spesso annebbiato e svigorito. Anche in questo caso la manipolazione a cui il regista sottopone uno dei massimi capolavori shakespeariani raggiunge risultati esaltanti.
Le arti magiche che il duca Prospero adopera nel dramma per punire i cospiratori che usurparono anni prima il suo regno, riunendoli sull'isola dove vive insieme con alcuni bizzarri servitori e con la figlia Miranda, diventano qui pura arte della parola. È immobilizzata su una sedia, Miranda, colei che ispira meraviglia («a wonder», scrive Shakespeare): a lei il vecchio padre narra una storia, per distrarla e compiacerla, come si fa con un malato. Questo diventa La Tempesta: una storia rivista attraverso un filtro magico, quello della fanciulla, che sceglie quali passaggi farsi raccontare e quali saltare, come si trattasse d'una fiaba già sentita e ricomposta mille volte (non è questo il Teatro?).
Koršunovas dice di aver trattato La Tempesta «come un dramma sociale sull'eterna e assurda lotta per il potere», sulla scorta delle avventure teorico-politiche di Jan Kott. È vero, l'isola di Prospero può rappresentare l'"isolamento" dei dissidenti negli anni del regime sovietico (è ancora Koršunovas ad adombrare questo parallelismo), oppure l'emarginazione dell'intellettuale, chiuso nella sua torre d'avorio foderata di libri, come la stanza anni Settanta in cui il regista ambienta la narrazione. Ma in effetti, sommando tutti i segni che il palcoscenico offre, il quadro si presenta assai più complesso. C'è l'intimità del rapporto tra una figlia inferma e un padre che ha il dovere di accudirla; rapporto che si fonda inevitabilmente sugli "effetti personali", oggetti domestici capaci di significare molto più quanto non faccia pensare il loro uso comune: una credenza, un mal funzionante televisore in bianco e nero, una radio gracchiante, una scacchiera, la statuetta di una ballerina. C'è poi una sensibilissima riflessione sull'illusorietà del reale e sull'inanità della ribellione, riflessione shakespeariana prima che nichilista. E naturalmente ci sono due attori di indescrivibile bravura, automi e manovratori di una sapiente scenotecnica, impegnati in un mirabile esercizio polifonico. In particolare, con gli sguscianti cambi di personaggio di Povilas Budrys si inverte il processo creativo di Shakespeare: se quest'ultimo scinde la varietà del genere umano in una molteplicità di personaggi, ciascuno corrispondente a un ideale tipo psicologico, Koršunovas comprime quella varietà nello stesso individuo. E sono memorabili le orrorifiche apparizioni dello spirito-demonio Ariel, dello scimmiesco Calibano, illuminato come un gargoyle, del vanesio e modaiolo Ferdinando. Potere dell'attore di incarnare individui diversi, potere della scena di far interferire materie dissimili, evocando universi fuggevoli.
Un'ora e mezzo di spettacolo, ricambiato da lunghissimi applausi.
Carlo Titomanlio