da Pazza è la luna di Silvana Grasso
adattamento, scene e regia: Licia Maglietta
con Licia Maglietta, Vladimir Denissenkov
costumi: Katia Esposito
luci: Cesare Accetta
suono: Daghi Rondanini
Napoli, Teatro Nuovo, dal 18 al 27 aprile 2008
Milano, Teatro Studio, dal 11 al 30 novembre 2008
Maglietta ironica e sensuale in una storia di vite negate In una Sicilia aspra nel paesaggio e soffocante nelle convenzioni, nasce dalla penna di Silvana Grasso la storia di Borina Serrafalco, donna benestante ma con il «difetto», un' altezza di un metro e ottanta, che le rende difficile trovare marito e le segna una vita di diversità. La «sìccasìcca» ormai lontana dall' età da marito accetta di sposare Liuzzo «pilorusso», piccolo e grasso che la «sensala» le propone. Vestita di nero, in uno spazio addobbato da drappi di tessuto nero, la brava Licia Maglietta, ironica, sensuale, crudele e altera quanto fragile e sognatrice, fa vivere in «Manca solo la domenica» Borina accompagnata quasi come in un dialogo dalle note della fisarmonica del bravissimo Vladimir Denissenkov. Liuzzo partì per L' Australia e dopo qualche lettera sparì nel nulla, facendo assaporare a Borina l' idea di avere finalmente un ruolo preciso nella società che le desse rispetto e rango: quello di vedova. Così la donna sposa un inganno che talmente la soddisfa che «adotta» nei paesi vicini sei mariti morti, sei tombe sulle quali portare dal lunedì al sabato rose baccarat e il suo stato di vedova. Ma dopo trent' anni lui torna rovinandole ancora una volta la vita. Questa volta con perfida determinazione Borina lo porterà nella settima tomba da poter visitare questa volta a pieno titolo la domenica. Una storia barocca e aspra di solitudini e di vite negate e reinventate che ha un arcaico sapore di tragiche, disperate passioni.
Magda Poli
Bella e aggressiva più di quanto siamo abituati a conoscerla, Licia Maglietta continua impavida e sempre più consapevole il suo viaggio tra le identità femminili. Che siano testi poetici o scritti letterari dal forte tratto di rappresentazione, a tutte le sue creature l'attrice imprime la forza ma anche i dubbi, e le insinuazioni e le certezze di un femmineo collettivo, che non teme l'ironia e neanche il paradosso, se necessari a svelare perfino quello che non si può dire, o che è scabroso ammettere. Questa volta a dare fondo e fondamento al personaggio, è una eclettica scrittrice catanese, Silvana Grasso, autrice di Pazza è la luna (pubblicato lo scorso anno da Einaudi) da cui Licia Maglietta ha tratto Manca solo la domenica, presentato nei giorni scorsi al Teatro Nuovo. È un monologo, anche se a dialogare con la multiforme eroina c'è la tastiera impagabile di Vladimir Denissenkov (una antica conoscenza di solito assieme a Moni Ovadia), a dare profondità e struggimento ai «teatrini» esistenziali e funebri della protagonista. Infatti Borina, ovvero Liboria Serrafalco sposata Liuzzo, esce dalla sua solitudine sociale ed esistenziale inventandosi un pubblico, inattaccabile status, quello di «vedova». La ricerca dei suoi interlocutori passati a miglior vita è metodica, quasi scientifica, trasformandosi in un itinerario irresistibile nella provincia di Catania, su autobus e trenini locali, da Giarre alle falde dell'Etna. L'indomita signora, proprio come una attrice, si sceglie con cura ogni volta (ovvero in ogni cimitero) la «parte» preferita e più plausibile, e ogni giorno della settimana avrà così una diversa identità in gramaglie, con tanto di nome e cognome, e una tomba su cui andare a piangere.
Un percorso godibile da ascoltare, ma il divertimento attenua appena l'amarezza di una condizione paradossale, che crea nella fantasia quotidiana questo sdoppiamento multiplo. E nel momento in cui troverà un uomo con cui accettare le nozze, questi potrà essere sistemato nella galleria funebre dell'unico giorno rimasto libero da questo pellegrinaggio alla ricerca di sé. La domenica del titolo, appunto.
Usando la ricchezza della lingua siciliana, e il proprio piacere di attrice, Licia Maglietta moltiplica il personaggio della protagonista per tutte le sue alter ego a lutto. E ne risulta una galleria spassosa quanto crudele, perché ognuna parte già dalla tristezza e dall'infelicità per l'abbandono forzato da parte del coniuge. E ognuna ha in quel «dolore» un trampolino forzato verso la riconquista di sé e della propria vita. Un catalogo mirabile di solitudini, che proprio in quanto virtuali, possono scavare nella creatività e nella reattività di ognuno. Infelice non per propria colpa, ma di propria iniziativa capace di reinventarsi.
Gianfranco Capitta