di Molière
progetto e collaborazione alla traduzione di Andrée Ruth Shammah e Luca Micheletti
regia Andrée Ruth Shammah
traduzione Valerio Magrelli
con Fausto Cabra e con (in o.a.) Matteo Delespaul, Pietro De Pascalis, Angelo Di Genio, Filippo Lai, Margherita Laterza, Francesco Maisetti, Marina Occhionero, Guglielmo Poggi, Andrea Soffiantini, Maria Luisa Zaltron
e la partecipazione di Corrado d’Elia
scene Margherita Palli
costumi Giovanna Buzzi
luci Fabrizio Ballini
musiche Michele Tadini
cura del movimento Isa Traversi
produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Teatro della Toscana
Milano, Teatro Parenti, dal 19 al 24 novembre 2024
Il Misantropo, vittima di se stesso Va in scena al Teatro Franco Parenti di Milano il Misantropo di Moliere. La regia di Andrèe Ruth Shammah ce lo conegna nella sua forma classica. Scenografia e costumi ci riportano ai tempi dell’autore francese. Protagonista è Alceste (Fausto Cabra). Già dal suo costume scuro, in contrasto a quelli colorati degli altri personaggi, si intravede il carattere psicologico in cui è rinchiuso il destino che lo condannerà all’infelicità. Da una parte c’è la sua autenticità sbandierata, dall’altra l’ipocrisia invadente della società aristocratica francese i cui vessilli sono bene rappresentati dagli uomini di corte quali Clitandro, Lacasta e Oronte. In mezzo ci sta il compromesso nei panni di Philinte che tenta di far ragionare l’amico Alceste per riportarlo nell’ambito di una più o meno utile aderenza alle convenzioni sociali senza rinunciare del tutto a se stessi. È una sorte di triade freudiana in cui Es, Super Io e Io si intravedono, rispettivamente, nei personaggi. Alceste non vuole rinunciare ai suoi impulsi più autentici e profondi, gli uomini di corte si fanno promotori del patto sociale che nega il vero sé e, infine, Philinte, personaggio interessantissimo è l’Io che arbitra questa difficile disputa. A sparigliare le carte ci penserà Celimene, la donna che Alceste vorrebbe tutta per sé al punto di volerla sposare. Ma lei rifiuterà. È in quel rifiuto che sta la condanna di un uomo, forse, pronto per la prima volta a uscire dalla solitudine per entrare in società. In questa storia, lasciata uscire in tutta la sua purezza dai bravi interpreti, i significati valgono ancora oggi per interpretare la nostra vita e quella di chi ci scorre accanto. Andrea Pietrantoni