di Luigi Pirandello,
regia di Antonello Capodici,
con Pippo Patavina e Marianella Bargilli e con Rosario Minardi, Giampaolo Romania e Mario Opinato,
musiche di Mario Incudine,
scene di Salvi Manciagli,
costumi Sartoria Pipi Palermo,
produzione, ABC Produzioni, ATA Carlentini,
al teatro Sociale, Brescia, 19 gennaio 2022
Uno, nessuno, centomila modi di fare, essere teatro. Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello nella versione teatrale di Copodici/Patavina mette in crisi chi va cercando il teatro legato alla regia critica, mette in crisi perché ciò che propone l’allestimento è una mise en espace corretta, colorata, chiara del romanzo pirandelliano che assomma le tematiche dell’essere e apparire e fa centro, rispetta tutti i canoni e fa dire all’occhio dello spettatore professionista: perché c’è bisogno ancora di tutto ciò? La crisi è nel giudizio, nell’analisi, ma anche nella fruizione dello spettacolo applaudito con calore da un teatro strapieno. Cosa vanno cercando gli spettatori, cosa ha dato Uno, nessuno e centomila di Patavina? Interrogativi che si pone chi cerca il teatro d’arte e, magari, guarda con un po’ di supponenza il teatro di rappresentazione, in cui sembra possibile inserire l’allestimento di ABC Produzioni. Ciò che mette in scena Patavina - cui spetta il ruolo di protagonista e regista/narratore interno della vicenda di Vitangelo Moscarda, detto Gengè - è un’assoluta fedeltà al testo, la traduzione scenica di un romanzo che diviene flusso di coscienza e che viene, per così dire, organizzato in sequenze/scene. Non si fa fatica a seguire la vicenda, non c’è la voglia di porre una pur minima chiave di lettura extra/autorale, ma si vuole porre come dato di fatto, dato narrato ciò che sta nel romanzo, riproducendolo nella calda tonalità recitativa di Patavia e nell’impostazione macchiettistica, irrealistica, da pupi dei comprimari. Tutto questo funziona. Ci si mette lì, comodi, comodi sulla poltrona e si ascolta, si gode del testo pirandelliano, di un argomentare serrato e potente in cui il senso dello stare al mondo e del definirsi sono un tutt’uno con la consapevolezza di una finitezza e relatività del nostro io di cui non siamo padroni per nulla, come spiega Freud. Pippo Patavina dà al suo Moscarda tutte le pause e sfumature di un argomentare lucido e sorpreso al tempo stesso, porta con grande coerenza fino in fondo la sfida alle sue mille identità, al suo sentirsi uno, nessuno e centomila. Lo si segue bene e ci si sente rassicurati nella modalità recitativa e nel fatto che si è consapevoli fin dal primo minuto che ciò che viene proposto è il Pirandello con cui abbiamo avuto a che fare fin dai banchi del liceo. Tutto ciò per dire, che alla fin fine, chi scrive si ritrova a ringraziare sua moglie che ha voluto intensamente vedere lo spettacolo tratto dal libro che divorò in età adolescenziale in un giorno e mezzo… La chiave sta lì: nella voglia di ritrovare, di recuperare ciò che abbiamo esperito e farlo nella speranza che il nostro ricordo, il nostro sapere corrisponda con ciò che ci viene proposto in scena. È questo il pregio di Uno, nessuno e centomila di Patavia, regalarci la sicurezza della grammatica teatrale, regalarci la possibilità – ad apertura di sipario – di recuperare una parte di noi, per quanto nella consapevolezza di essere tutti uno, nessuno e centomila. Applausi.
Nicola Arrigoni