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MAÎTRESSE (LA) – regia Gaia Aprea

Gaia Aprea in "La maîtresse". Gaia Aprea in "La maîtresse".

Monologo
Prima nazionale
Adattamento da Memorie di una maîtresse americana di Nell Kimball
Regia Gaia Aprea
Con Gaia Aprea
Selezione musicale  Davide Pennavaria
Selezione video  Livia Ficara
Produzione  Tradizione e Turismo – Centro di Produzione Teatrale – Schegge del Mediterraneo
Teatro Sannazaro di Napoli, 15, 16 e 17 Ottobre 2021

www.Sipario.it, 18 ottobre 2021

La donna è al centro, soprattutto ai nostri giorni, di eventi e cronache spesso purtroppo spiacevoli o terribili, che la vedono suo malgrado protagonista di violenze, di offese, di uccisioni o anche “soltanto” di pregiudizi. Lottare contro una società che pur essendo un sostantivo femminile è quasi sempre di stampo maschile è spesso una costante dei nostri tempi e proprio il mondo del lavoro o dello spettacolo lo hanno più volte dimostrato, ad esempio con la lettera aperta firmata da molte attrici come denuncia contro uno strapotere che le vorrebbe piegate ad un sistema che invece va cambiato dal suo interno e dal suo principio. A questo e a molto altro può essere ricondotto lo spettacolo La Maîtresse, di e con Gaia Aprea, che l’ha creato da una riduzione di Memorie di una maîtresse americana di Nell Kimball. È il 1854 e una bambina nasce in un podere dell’Illinois, mentre la sua mamma soffre intanto il dolore di tanti altri figli nati morti o morti poco dopo. La situazione di povertà e la mancanza di cure, di vero amore e di attenzione, forse resi soltanto più crudi dal contesto e dalla difficoltà della vita di campagna, non le permettono di crescere con troppi lussi né valori e l’unica anziana zia, ex prostituta “di successo”, le consiglia di andar via di là e di cercare qualcosa di meglio, magari come ha fatto lei. Quella bambina diventerà così prima una prostituta a sua volta, nello stesso bordello dove sua zia aveva cominciato e poi una tenutaria di case di lusso, passando attraverso un matrimonio, degli amori veri, un figlio poi perso e tanti dolori, diversi ciascuno a suo modo e dispiaceri pieni di malinconia. Nonostante ciò la dignità, la fermezza e il non tornare mai indietro a ritrattare le proprie decisioni, ne fanno una donna dalla vita sì triste, ma tuttavia priva di rimpianti così come di rimorsi. Quello che si cerca di scardinare è, già all’epoca, la società che esalta il modello maschile, mettendo in scena una donna che, dalla sua posizione, tutt’altro che facile o di alta classe, riesce tuttavia ad avere alle sue dipendenze ragazze sempre in ordine e pulizia, al contrario di quelle case – alveari, come lei stessa le definisce, in cui il controllo sanitario non esisteva e il sovraffollamento regnava sovrano. La denuncia sociale è però prettamente rivolta a quella società alta, che reclamava il rispetto e vantava lo splendore e la dignità, ma valeva in realtà non molto di più di tutta quella parte che, per estrazione sociale, provenienza, nazionalità o mestiere, veniva considerata lo strato sociale basso, ma che aveva con la parte altolocata molte più cose in comune di quante lasciasse credere. L’occhio attento e meticoloso, ma al contempo vivido e vivace della donna, racconta, fotografa e mostra ciò che quasi sempre, come un tabù, non si mostrava e non si mostra, di cui non si parlava e non si parla. Non giudica, ma esalta quella rispettabilità forse mancata agli occhi degli altri, ma molto più presente in lei che in tanti ricchi. La prova della Aprea è magistrale: il monologo, già di difficile interpretazione, è ulteriormente complicato dal frequente cambio di registro, dalla difficoltà di rendere, anche con onomatopee e suoni da lei stessa ricreati, che di volta in volta sono portati in scena, amore, paura, difficoltà, terrore, dolore, loquacità, allegria, disperazione, amarezza. La mise en scene è accompagnata da musiche e anche quadri e immagini proiettati che ci regalano anche un racconto visivo e uno spaccato della società di allora, quella tra ‘800 e ‘900. Trasformista anche nello stile, Gaia Aprea cambia abito in scena a mano a mano che racconta la sua storia, diventando di volta in volta se stessa in modo diverso.

Francesca Myriam Chiatto

Ultima modifica il Martedì, 19 Ottobre 2021 05:22

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