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MONACA DI MONZA (LA) - regia Valter Malosti

"La Monaca di Monza" di Valter Malosti. Foto Noemi Ardesi "La Monaca di Monza" di Valter Malosti. Foto Noemi Ardesi

di Giovanni Testori
adattamento per tre voci e regia di Valter Malosti
con Federica Fracassi e Vincenzo Giordano, Giulia Mazzarino
scene e luci di Nicola Bovey
costumi di Gianluca Sbicca
cura del movimento Marco Angelilli
progetto sonoro Valter Malosti
suono e programmazioni luci Fabio Cinicola
produzione Teatro Franco parenti TPE Teatro Piemonte Europa, Centro Teatrale Bresciano, Teatro di Dioniso
con il sostegno dell'associazione Giovanni Testori
visto al Teatro Franco Parenti, 21 febbraio 2019

www.Sipario.it, 23 febbraio 2019

«Liberaci dalla nostra carne; liberaci dal nostro sangue; liberaci dalla nostra morte. O distruggiti anche tu nella nostra carne, nel nostro sangue, nella nostra morte». Sono le ultime parole di Marianna De Leyva, la Monaca di Monza di Giovanni Testori, sono la summa di una costruzione narrativa e un paradosso bestemmiatore «sostenuto non senza un eccesso di cerebralismo oratorio», afferma icasticamente Annamaria Cascetta nel suo Invito alla lettura di Testori, pubblicato da Mursia. La carne, il sangue, la morte, la bestemmia di Dio come provocazione, invito a Dio a farsi uomo e nella carnalità scoprire lo scandalo del dolore sono i motivi dominanti del testo testoriano in cui l'impeto della passione, la vertigine dell'infrangere fede e religione, lo sciogliere i legami per dar libero corso alle pulsioni hanno come strumento l'assolutezza dell'eros che confina e porta alla morte.
La Monaca di Monza è il racconto di questo osare dei sensi e contrapporsi alla regola in cui la bestemmia che Marianna e Gian Paolo Osio si passano di bocca in bocca «è la profanazione di ciò che è prescritto, di ciò che è consolidato, per confermare le ragioni del contrario, l'amore per la Monaca», scrive sempre Cascetta. La confessione e la storia della Monaca di Monza, il suo non essere voluta come figlia prima, l'amore travolgente per Osio poi e infine la maternità scandalosa e l'uccisione del feto nero, già escremento, frutto del peccato appena nato sono i tasselli di un 'romanzo' splatter, eccessivo, retoricamente ridondante che Valter Malosti inscatola, costruisce come polittico gotico e un po' horror. Sarà la suggestione del teatro Franco Parenti e del contesto – Progetto Testori – ma sta di fatto che Malosti non si è voluto sottrarre al fascino dell'oratorio, ovvero del dire castrando la fisicità e al tempo stesso del fare dell'attore che dice l'incarnato della parola. La Monaca di Monza, Osio, i fantasmi del suo delirio vivono rinchiusi in tre teche e con essi i tre attori: Federica Fracassi, Vincenzo Giordano e Giulia Mazzarino, fantasmi, forse, cadaveri di una passione e una storia destinate a compiersi nella morte, nel massacro delle carni, nel ripetuto riferimento al sangue e alla bestemmia, come urlo strozzato di chi grida contro Dio la pretesa di esistere, di vivere, di amare appassionatamente, al di là della regola, oltre la regola, per scardinare la prigione non solo claustrale. In tutto questo la corporeità degli attori si compone in eco artistiche in cui pose e mimica dicono di polittici in movimento, di tableau vivant o meglio sarebbe dire morenti.
Il testo e la storia sono narrati, raccontati, sono emergenze vocali, ridondanze retoriche di un troppo desiderare, di un possedere per annullarsi. Prigionieri di loro stessi, perennemente in fuga i personaggi testoriani sono lì, incombenti a urlarci in faccia la voglia di essere, di trascendersi, lo scandalo del dolore, lo scandalo del corpo che vuole e sanguina, lo scandalo del Dio della croce e del peccato da cui non assolversi. In tutto questo La Monaca di Monza di Valter Malosti è un crescente permanente di orrore, è un dire urlato e sofferto, è un vomitare parole, parole e ancora parole mentre i corpi, le azioni, i volti, gli occhi, il sudore sono lì pressati, imprigionati. I tre attori si trasformano a loro volta in immagini bidimensionali, finiscono con essere i soggetti di un trittico, rubato al delirio di una religiosità degli inferi e all'ebbrezza della violenza e del sesso come detonatore di un'estasi che si compie nel dissolvimento. L'effetto rischia a tratti di essere monotono e monocorde, stordente ed eccessivo, ma sembra essere la naturale risposta a un testo che è sovrabbondante e rischia di dire tutto subito, senza vero sviluppo narrativo. A questo si piegano sia regista che attori, inconsapevolmente o forse per accettata necessità e per rispetto di Testori, retore del desiderio di carne e senso di colpa dell'anima.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 24 Febbraio 2019 11:06

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