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MALATO IMMAGINARIO. L’ULTIMO VIAGGIO (IL) - regia Marco Zoppello

"Il Malato immaginario. L'ultimo viaggio" di Marco Zoppello "Il Malato immaginario. L'ultimo viaggio" di Marco Zoppello

di Stivalaccio Teatro
Soggetto originale e regia: Marco Zoppello
Con, in ordine alfabetico: Sara Allevi, Anna De Franceschi, 
Michele Mori, Stefano Rota, Marco Zoppello

scenografia di Alberto Nonnato
costumi di Laura Salvagnin
disegno luci di Paolo Pollo Rodighiero
maschere di Roberto Maria Macchi
Produzione: StivalaccioTeatro / Teatro Stabile del Veneto
Realizzato con il sostegno di 70° Ciclo di Spettacoli Classici - debutto Teatro Olimpico di Vicenza – 27 e 28 settembre 2017
San Stino di Livenza (VE), Teatro Pascutto, 24 gennaio 2019

www.Sipario.it, 28 gennaio 2019

Il malato immaginario è uno dei capolavori della maturità artistica di Molière, in cui il grande autore-attore francese va al di là della satira della classe medica presente in tante opere precedenti per rappresentare in forma comico-grottesca i vizi universali dell'uomo. Dietro l'ossessione della malattia e la cieca fiducia nei medici del protagonista Argante si annidano il terrore della morte e l'illusione del suo differimento che alimentano dinamiche regressive auto-protettive condizionanti i rapporti famigliari: l'intento, da parte del vecchio "malato" di dare in sposa la figlia Angelica, contro il suo volere, al nipote del Dottor Diarroicus e la decisione di fare testamento in favore della seconda moglie Belinda la quale lo inganna assecondandolo nelle sue manie ipocondriache. Il malato immaginario, andato in scena per la prima volta il 10 febbraio 1673 al Palais-Royal di Parigi, è anche l'opera in cui più di ogni altra si intrecciano l'arte e la vita di Molière sia per l'analogia tra la condizione di malattia, immaginaria in Argante e reale nel suo autore, da tempo affetto da tubercolosi; sia per la morte di Molière, intervenuta subito dopo la quarta replica della pìèce (ma la crisi fatale, dicono le cronache, era già iniziata nel corso della rappresentazione a testimoniare l'indomito amore per il teatro dell'artista francese).
Il Malato immaginario. L'ultimo viaggio di Marco Zoppello prende le mosse proprio dall'emblematico congedo di Molière dalla vita e dal teatro visto come momento culminante di catarsi sia nella vicenda privata del padre di famiglia che nelle ragioni ultime dell'arte comica propugnata dal teatrante francese. Reinventando liberamente la biografia molieriana Zoppello immagina che la morte dell'attore-capocomico avvenga nel corso della rappresentazione del Malato immaginario a cui finisce per partecipare come attrice esordiente nella parte di Angelica la figlia Madeleine, fuggita dal convento in cui il padre l'aveva reclusa. Nella versione di Zoppello, quella stessa ultima rappresentazione del 17 febbraio è stata possibile, del resto, grazie all'intervento di tre attori italiani, Giulio Pasquati (in arte Pantalone), Girolamo Salimbeni (in arte Piombino) e Veronica Franco, unici superstiti alla defezione della compagnia di Molière che da qualche tempo non dà le paghe ed egli stesso, ormai stanco e deluso, ha rinunciato ad andare in scena.
Nello spettacolo si assiste quindi all'alternanza di due vicende: quella della compagnia di Molière che, pur a ranghi ridotti, escogita una serie di espedienti per portare a termine la messinscena de Il malato immaginario e quello della rappresentazione di alcuni frammenti della stessa opera molieriana in cui gli attori, impegnati nell'interpretazione di più parti (Pasquati nei panni della serva Tonina e di Tommaso, figlio del Dottor Purgone; Salimbeni in quelli di Cleante, innamorato di Angelica e del Dottor Purgone; Veronica in quella di Belinda) spesso escono dal personaggio riassumendo la loro identità di Attori. In tal modo, a pesare maggiormente, nel complesso, è proprio la vicenda dei tre attori italiani il cui inesauribile spirito e la cui sapienza scenica finiscono per dare un peculiare apporto e risalto anche all'interpretazione della pièce di Moliere. Nel tratteggiare l'operato e la personalità dei comici dell'arte Zoppello mette in luce alcuni tratti originari della loro secolare cultura: l'improvvisazione, intesa in senso lato come capacità di riprogettare e portare a compimento lo spettacolo, sera per sera, facendo fronte a variabili mutevoli e impreviste quali la composizione della compagnia o le reazioni del pubblico reso complice in ingegnose strategie di coinvolgimento; il plurilinguismo, ovvero la capacità di far interagire efficacemente sulla scena diversi idiomi, anche dialettali, e stili recitativi, sia comici che drammatici; l'uso di danze e musiche non come semplici intermezzi ma come parti integranti del tessuto drammaturgico. In questo senso la performance di Stivalaccio Teatro si è configurata come una scoppiettante rassegna di un accattivante repertorio di effetti comici tratti dalla nostra ricca tradizione popolare, depurati da eccessi, compiacimenti, gratuità ed esibizionismo virtuosistico, e anzi finalizzati ad aprire il gioco di scena alla divertita partecipazione del pubblico; gag fisiche, linguistiche e di situazione (nel Rinascimento, epoca d'oro della Commedia dell'arte, chiamate "lazzi") frutto di una creatività alimentata dalla necessità (l'atavica fame), la fantasia e un solido mestiere. Ecco allora il toscano Salimbeni rivolgersi direttamente al pubblico in un francese maccheronico a chiederne, con successo, la collaborazione per far credere a Molière che il Re Sole sia presente in sala e desideri che "the show must go on"; o Veronica nei panni di Belinda rendere manifesta la propria simulazione nell'agognato momento del lascito testamentario in suo favore da parte di Argante, trasformando esclamazioni di dolore in espressioni di gioia; o Madeleine nei panni di Angelica incapace di celare il proprio trasporto baciando Cleante, così come la propria afflizione dopo i rimproveri del padre associandosi agli infantili lamenti del suo innamorato; o il veneto Pasquati nei panni di Tonina ricorrere ad un allusivo gioco mimico per indurre Argante a fingersi morto, rovesciando così il rapporto servo-padrone, ma anche per esprimere il timore di non contraddirlo; o ancora Salimbeni nei panni di un Cleante goffamente travestito da maestro di musica impegnato nell'improbabile esecuzione di una canzone napoletana, inizialmente stentata e poi irresistibilmente trascinante tutti gli astanti. Il susseguirsi di tali rotture comiche nei giochi di ruolo metateatrali degli Attori italiani ha iniettato una carica vivificante e rigenerante nel dramma umano, familiare e artistico di Molière, in continua lotta con l'ambiente cortigiano da cui vuole tener lontana la figlia, e del suo personaggio Argante, finto ammalato in lotta coi propri fantasmi che gli impediscono di discernere le persone a lui legate da reali sentimenti di affetto e amicizia. L'immaginaria malattia di Argante si tramuta così, nel finale dello in quella reale di Molière dopo che questi ha definitivamente accettato e riconosciuto la figlia come attrice all'interno della compagnia, coronando l'ultimo viaggio-spettacolo con un addio riappacificato alla vita e all'arte teatrale, destinata quest'ultima a sopravvivere nell'eredità di artigianato scenico trasmessa agli attori oltre che nella memoria dei posteri.
Stefano Rota ha rappresentato con rigore e potenza espressiva i vari lati del carattere di Argante e di Molière circostanziandone con precisione e finezza le diverse peculiarità: la vulnerabilità ipocondriaca di Argante, su cui fa leva la classe medica per alimentare il terrore della malattia, rivissuta intimamente come ossessione allucinatoria irrefrenabile; i divergenti atteggiamenti paterni nei confronti della figlia, da quelli seccamente autoritari di Argante a quelli accorati e sofferti di Molière; la sprovvedutezza e credulità con cui Argante si affida, bisognoso di assistenza e protezione, alle simulata amorevolezza di Belinda. La morte in scena del suo Molière, struggente e lirica, ha rievocato uno dei pezzi forti del teatro all'antica italiana i cui esiti scenici nel secondo dopoguerra sono ancora testimoniati da alcune prove shakespeariane di Vittorio Gassman e Carmelo Bene. Anna De Franceschi ha ritratto la figura di Veronica Franco come rappresentante di una categoria di attrici di estrazione popolare, energica e concreta, come del resto anche Belinda, ma non priva, oltre che di una tagliente ironia, di una ricca sensibilità che si è manifestata nell'effusione di trepidazione e amarezza per le insidie portate dall'ingresso di Madeleine nella compagnia in cui, dopo anni di successi in ruoli primari e tanti sacrifici, Veronica rischia di essere relegata in una posizione marginale. Marco Zoppello ha dato prova di grande versatilità misurandosi nelle diverse parti dello scrupoloso Pasquati, spesso in funzione di spalla di un gioiosamente irresponsabile Salimbeni; della serva Tonina in un travestimento femminile che ha messo in luce le sue doti di determinazione e arguzia; di Tommaso, di cui ha evidenziato l'ottusa rigidità. Michele Mori nei panni di Salimbeni ha messo un po' dell'anima candida e pasticciona del clown Augusto nel suo approcciarsi al pubblico, così come nel buffonesco travestimento di Cleante in maestro di musica che ha lasciato trapelare i patemi d'animo tipici dell'innamorato; per trasformarsi infine in spauracchio della Morte nell'abito di medico della peste di un inflessibile e sinistro Dottor Purgone. Sara Allevi ha raffigurato la ferma decisione di Madeleine di emanciparsi dalle costrizioni mantenendo sempre vivo l'affetto per il padre così come in Angelica ha contemperato il rispetto per la figura paterna con l'impeto del cuore "a cui non si comanda".

Lorenzo Mucci

Ultima modifica il Martedì, 29 Gennaio 2019 02:34

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