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MARILYN, ATTRICE ALLO STATO PURO - regia Michela Marelli

Lucilla Giagnoni in "Marilyn, Attrice allo stato puro", regia Michela Marelli. Foto Luca Maffei Lucilla Giagnoni in "Marilyn, Attrice allo stato puro", regia Michela Marelli. Foto Luca Maffei

di e con Lucilla Giagnoni
progetto e regia di Michela Marelli
musiche di Paolo Pizzimenti
scene e luci di Alessandro Bigatti, Andrea Violato e Massimo Violato
abito di scena Sartoria Bassani
produzione Centro Teatrale Bresciano
Teatro Sociale, Brescia, 27 aprile 2018

www.Sipario.it, 1 maggio 2018

Lucilla Giagnoni è una raffinata narratrice che sa mediare la materia di cui tratta con il qui ed ora del suo racconto. Accade quando affronta le grandi narrazioni della letteratura, accade quando va in cerca del respiro dei grandi personaggi, accade con Marilyn e la sua vocazione di attrice. La storia dell'attrice per antonomasia del cinema è storia di 'uno, nessuno e centomila', è paradigma di quel essere degli altri e per gli altri che anima ogni attore, corpo e spirito prestati ai sogni e desideri di altri uomini e di altre donne. Lucilla Giagnoni parte dalla sua cameretta di adolescente, dai poster appesi alle pareti della sua attrice preferita, parte da sé per farsi altra da sé e raccontare le fragilità di Marilyn, la sua storia di bambina prima, ragazzina poi e infine donna in cerca di una identità che si costruisce pian piano, fatta di nomi, di surrogati genitoriali, di mariti e amori che l'hanno voluta, posseduta, amata, ma mai abbastanza. Lucilla Giagnoni si muove fra una poltrona rossa a forma di cuore e una sorta di mega specchio girevole, due oggetti scenici che sono appigli per un racconto che è intimo, segreto che è un viaggio nel cuore dell'essere attrice, nella solitudine del camerino, nell'essere davanti allo specchio a preparare il personaggio o per togliersi la maschera e tornare nella realtà. Giagnoni vestita con una sorta di tuta color carne è nuda davanti agli spettatori, è ora l'io narrante, ora è Marylin, quando indossa i vestiti che ricordano la sera del concerto in onore del presidente Kennedy, oppure l'abito bianco sollevato dall'aria della sotterranea. Immagini che sono icone, riferimenti che fanno parte della storia del cinema e di quel personaggio mitico che è Marylin divisa fra amori e insicurezze, sonniferi ed eccitanti, pin up ma anche attrice che teneva sul comodino la foro di Sarah Bernhardt. Lucilla Giagnoni – raccontando la vita di Marylin Monroe e dei suoi mille nomi – va indagando la natura intima dell'essere attrice, quel vivere riflessa negli sguardi degli altri, quel vivere vite altrui e a tratti essere travolta dalla propria. Con lo stile incalzante, chiaro, che procede per blocchi tematici, che alterna la prospettiva del narratore esterno con il flusso di coscienza del personaggio, Lucilla Giagnoni dimostra – come sempre – di conoscere alla perfezione le regole del gioco. Giagnoni sa coniugare artificio e 'spontaneità', naturalezza e retorica in un mix che acchiappa lo spettatore dall'inizio alla fine, complice anche una costruzione musicale e di disegni luci che – meno invadente del solito – guida lo sguardo dello spettatore, mentre il cuore è tutto nelle mani dell'attrice e della sua vocazione di donna che è una, nessuna e centomila. Applausi.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 02 Maggio 2018 09:30

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