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MISERIA E NOBILTÀ 2.0 - regia Giuseppe Miale Di Mauro

"Miseria e nobiltà", regia Giuseppe Miale Di Mauro "Miseria e nobiltà", regia Giuseppe Miale Di Mauro

di Edoardo Scarpetta

con: Francesco Procopio, Antonio Grosso, Francesca Annunziata, Philippe Boa,
Maria Chiara Centorami, Antonio Friello, Maria Lauria, Stefano Meglio,
Luana Pantaleo, Antonello Pascale, Federica Pizzutilo, Alfredo Procopio, Andrea Vellotti

Riscrittura: Giuseppe Miale Di Mauro e Antonio Guerriero
Regia: Giuseppe Miale Di Mauro
Scene: Luigi Ferrigno
Costumi: Giovanna Napolitano
Movimenti coreografici: Elisabetta Persia
Aiuto regia: Andrea Vellotti
Luci: Luca Palmieri
Assistente alla regia: Letizia Barbini
Audio: Fabrizio Cioccolini
Direttore di scena: Matteo Palmieri
Grafica: Marco Animobono
Produzione esecutiva: Alessia Nardecchia

Roma, Teatro Ghione dal 12 Dicembre 2017 al 7 Gennaio 2018

www.Sipario.it, 29 dicembre 2017

A trasporre nell'evo contemporaneo la celebre commedia-farsa di Eduardo Scarpetta apponendovi un 2.0 finale, Miseria e nobiltà (in scena al Teatro Ghione di Roma), cosa ne verrà fuori? Certamente un'ironia meno giocosa e spensierata rispetto alle edizioni cui siamo abituati (fra le più celebri, come non ricordare la trasposizione cinematografica con Totò per la regia di Mario Mattoli e l'edizione teatrale con la superba regia di Eduardo De Filippo?).
Riflettere sulle conseguenze odierne che la miseria può portare; comprendere chi siano i nuovi ricchi (o arricchiti): questa è l'intenzione che il regista Giuseppe Miale di Mauro ha inteso realizzare.
L'idea non è male. Insolita, per taluni aspetti, e divertente. Ma i personaggi, giocoforza, han perduto il loro caratteristico trucco caricaturale prossimo alle maschere della grande tradizione napoletana. Le movenze con cui s'atteggiano in scena non sono più stereotipate e adatte alla nota fondamentale che connota le singole psicologie. Tutto è comune e ordinario, e per ciò stesso appare meno comico e attiguo al drammatico.
Felice Sciosciammocca con la schiera dei poveri scarpettiani – che si fingeranno signori, previo lauto compenso, per aiutare un giovane amico a convincere il padre della sua fidanzata (nobile appena divenuto, ma sempre volgare e grossolano nelle maniere e nel gusto) a dare il consenso alle nozze – sono persone ordinarie con le difficoltà che possono avere comuni disoccupati che, per sopravvivere, han dato fondo a tutti i risparmi, e non hanno di che mangiare per sostentare loro e le rispettive famiglie. Le quali, però, non lesinano nell'avere: un telefonino ultimo modello e un televisore dallo schermo piatto a raffinata risoluzione visiva, oltre a concedersi lauti e costosi pasti in ristoranti non propriamente economici.
Gli arricchiti, invece, più che mostrarsi ingentiliti – come avviene nell'originale scarpettiano –, dotati di buone maniere (seppur impacciate), ostentano magniloquenza e fingono comunanza con personaggi illustri del mondo dello spettacolo. Tutti debbono saperlo. A tal scopo si imbandiranno tavole per pranzi luculliani – preparati da cuochi notissimi che han preso parte a celebri programmi televisivi – con centinaia di invitati.
La comicità in questa versione di Miseria e nobiltà scaturisce dalla recitazione degli interpreti i quali – peccando qui e lì in tipiche esagerazioni attoriali –, riprendendo la ritmica verbale e le movenze proprie del teatro partenopeo (di Viviani e De Filippo, oltre che di Scarpetta) mitigano il senso di umorismo pirandelliano che emerge dall'insieme. Umorismo che fa sorridere ma anche intristire perché induce a pensare quanto miserevole e meschino sia fingere (con sé e gli altri) ciò che non si potrà mai diventare.
Non più, quindi, commedia e farsa degli equivoci. Ma denuncia (modesta e al contempo graziosa), con sorriso lieve e beffardo, della perdita della dignità umana che si crede salvaguardata solo a patto che si possieda qualcosa.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Sabato, 30 Dicembre 2017 02:46

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