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LOCANDIERA (LA) - regia Pietro Carriglio

La locandiera La locandiera Regia Pietro Carriglio

di Carlo Goldoni
regia, scene e costumi: Pietro Carriglio
musiche: Matteo D'Amico
luci: Gigi Saccomandi
con Galatea Ranzi, Luca Lazzareschi, Sergio Basile, Luciano Roman, Nello Mascia
Palermo, Teatro Biondo, dal 26 gennaio al 7 febbraio 2010 (prima nazionale)
Teatro Strehler, Milano dal 19 ottobre al 7 novembre 2010

www.Sipario.it, 31 ottobre 2010
Il Messaggero, 6 febbraio 2010

La Locandiera di Galatea Ranzi conquista il pubblico milanese

La "Locandiera" è il testo goldoniano più gettonato. Non c'è stato regista, nel corso dei secoli, che non si sia cimentato. Negli ultimi cinquant'anni del '900, come non ricordare le edizioni di Visconti, Squarzina, Missiroli, e tanti altri. Sarà per la storia dagli aspetti e risvolti emblematici che anticipano movimenti rivoluzionari; sarà per il personaggio femminile della Locandiera, una giovane lavoratrice autonoma che deve gestire una piccola impresa ereditata dal padre e far fronte a un microcosmo di una società italiana (i personaggi spaziano dal sud al nord, e ciò costituisce un significato, una ragione precisa) che Goldoni colloca nella Locanda, sita in Firenze, luogo deputato anch'esso con un significato preciso: la città del giusto ritiro per gli ultimi squarci di vita), evidenziandone il suo disfacimento, la sua solitudine; anche se tutti mirano all'"amore" della giovane Locandiera, ma non amore sessuale, ma un amore affettivo, di sentimento: il marchese di Forlipopoli (Nello Mascia), che non ha un becco di un quattrino; quell'altro nobile, Conte di Albafiorita (Sergio Basile) che invece ne ha troppi; quell'altro, il Cavaliere di Ripafratta (Luca Lazzareschi) che invece detesta le donne. Anch'essi sono personaggi simbolo di categorie sociali, inseriti in un contesto dove la figura della donna acquista una dimensione di rivalsa, di rivincita, di affermazione. E come scrive Goldoni al lettore che legge: " Fra tutte le commedie da me finora composte, starei per dire essere questa la più morale (si rifersce a quella del Settecento, e com'era la società di allora?), la più utile (per chi ? Per il pubblico di ieri e di oggi?), la più istruttiva (che insegnamenti voleva dare?). Sembrerà un paradosso a chi vorrà considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più lusinghiera (verso chi?), più pericolosa (per chi?)..." Un personaggio così, proposto nel periodo dei lumi, era veramente un atto di coraggio: una denuncia spietata verso la classi sociali più alte, e una affermazione che la classe più umile, quella di una Locandiera e di un cameriere, si unirà per determinare un nucleo familiare sano, omogeneo; e una coppia che assumerà un significato sociale nuovo, politico, sorretta dal vero amore, da sentimenti non inquinati dalle opportunità materiali; una coppia non corrotta.
Un testo, questa Locandiera, che solleva molte domande, che oggi ha un riscontro di grande attualità: se noi togliessimo ai personaggi i costumi che indicano un'epoca, ci parrebbe di trovarci nell'oggi; e riconoscere certi personaggi della nostra vita quotidiana che "ballano" sulle pagine dei giornali e che saturano i media.
Appunto perché si tratta di un'opera teatrale che può essere affrontata a diversi livelli di lettura, affascina i teatranti e il pubblico. Dal punto di vista drammaturgico è ben costruita nella successione delle sequenze, mette in atto una "suspense", una sfida che intriga lo spettatore dal momento in cui Mirandolina si confronta, dialetticamente, con comportamenti non bassa seduzione, ma di coinvolgimento di personalità, con il burbero e misogeno, maschilista, si direbbe oggi, Cavaliere di Ripafratta. Tutti i caratteri sono ben disegnati e hanno tutti la possibilità di incidere nel succedersi delle scene: e gli attori possono ben figurare. Basta non farsi prendere dalle eccessive caratterizazioni, che svuotano il dramma interiore di ciascuno, il dramma della solitudine, di un fallimento di vita.
Anche il regista Pietro Carriglio ha voluto fare la sua proposta, mettendo in campo un bel cast di attori. Ma essendo, oltre che direttore dello Stabile di Palermo, anche scenografo e costumista, ha voluto dare il suo "segno" interpretativo a tutto lo spettacolo. Non sempre però questo accumulo di ruoli, di capacità, funziona. Ci possono essere, come in questa Locandiera, delle sovrapposizioni contrastanti di scelte. E vediamo quali: lo spazio scenografico scelto in cui fare agire i personaggi, non sempre aiuta a comprendere quella locanda, quel "mondo", quel luogo che Goldoni ci offre, in decadenza, mentre la scena di Cariglio scarna, geometrica, è disancorata da quella immagine; Carriglio la rende essenziale con una sentina di quinte che delineano, circoscrivono lo spazio del palcoscenico, ecco del palcoscenico non di un ambiente che rifletta la situazione di allora; uno spazio, delimitato da un perimetro di panche, entro in cui pochi elementi (un tavolo rotondo, alcune sedie e una buona varietà di tovaglie utili a distinguere gli ambienti) vengono spostati da un lato all'altro da servitori, e solo servitori di scena: questa soluzione è in opposizione ad una recitazione di alcuni molto caricaturale, un po' barocca, (tesa più a conquistare la simpatia del pubblico che approfondire le dimensioni interiori dei personaggi), anzichè farlo raccapricciare, intristire, per quello che sono e per quello che pretendono: comprare le attenzioni della Locandiera, con la corruzione del denaro, dei regali ecc.
I costumi, ben delineati, ci riportano al Settecento, ma sono senza un vissuto, sembra che siano appena usciti dalla sartoria, lindi, ben tenuti.
L'uso delle luci non favorisce la leggibiltà dei personaggi, indirizzate più formare un quadro pittorico d'insieme. A volte, soprattutto nell'ultima parte dello spettacolo, da luci d'ambiente si trasformano in luci di segno drammaturgico di cui ci sfugge (e chiediamo venia) il significato, se non quello di creare qualche effetto caro al regista.
Passiamo agli attori. La Mirandolina di Galatea Ranzi è ben scolpita nel carattare, forte, intelligente, che sfugge a quella seduzione di mosse e di sculettamenti, di occhiate birichine e di intenzioni ambigue. Moderna nell'esposizione, non ammicca la facile complicità del gioco al pubblico. Ma quel Teatro dedicato a Giorgio Strehler, non è un buon teatro per consentire agli attori di recitare di fino: l'acustica è inperfetta, la distribuzione del pubblico va più per il largo che sull'asse centrale del rapporto pubblico attore, il palcoscenico è bislungo (cioè che tende a essere molto largo) e si è obbligati per la maggior parte degli spettacoli a restringere il campo della visibilità. Tutto ciò porta gli attori a spingere la voce e quindi a perdere certe sfumature interpretative.
Nello Mascia, che tante volte abbiamo ammirato, è un attore di grandi capacità interpretative, anche se qui nel suo ruolo cerca di costruirsi più l'effetto comico, esterno, che piace al pubblico, ma che svuota il personaggio dalla sua drammatica condizione che è di grande tristezza.
Anche Sergio Basile, attore versatile, si abbandona ad un clichè un po' collaudato, funzionante, ma che esteriorizza l'intimo travaglio di chi ha tanto denaro ma che è privo di affetti. Il Cavaliere di Luca Lazzareschi è credibile, ben tenuto, parco e misurato e funziona perfettamente allo "scontro" con Mirandolina. Il Fabrizio di Luciano Roman è corposo e incarna l'uomo a cui il padre di Mirandolina, in punto di morte, vorrebbe affidare le sorti della figlia. Funzionali alla regia gli altri: Massimo D'Anna, Domenico Bravo, Aurora Falcone, Eva Drammis. Il pubblico è sempre stato plaudente e generoso.
Lo spettacolo è una produzione di due teatri stabili: quello di Palermo e quello di Catania.

Mario Mattia Giorgetti

Donna di quadri Chi sia Mirandolina è noto a quasi tutti. E quasi tutti la giudicano non soltanto l'ostessa operosa immortalata da Goldoni nella Locandiera, bensì un fervido esempio di emancipazione femminile in tempi (1751) che andavano affermando il valore del lavoro e la prospettiva borghese. Meglio sarebbe, per vederci più chiaro, chinarsi con pazienza sulla commedia, sulle motivazioni che il drammaturgo veneziano può aver gettato nel calderone emotivo dell'ispirazione arrivando all'apologo della ragazza piena di qualità capace di far girar la testa ai nobili. Pietro Carriglio, regista, scenografo e costumista della magnifica edizione della commedia vista al "Biondo" di Palermo, questa pazienza l'ha avuta. Con Goldoni si è quasi confidato, gli ha strappato l'autorizzazione a restituirci Mirandolina tale e quale il Veneziano deve averla vissuta ieri, e come i maschi contemporanei sono putroppo costretti a ri-viverla nelle sue epigone: una piccola, furba, calda, insopportabile profittatrice. Così, in un contesto mirabile le cui tinte "rubano" qualcosa a Tiepolo e qualcosa a Tosi-Visconti con la sapienza di chi cita scrivendo, ecco il personaggio disegnato da Galatea Ranzi. La locandiera è una volpe insincera che parla ad alto volume, intasca e occulta denari, gioielli e trine con la destrezza del prestigiatore, fa capitolare cuori e patrimoni per puro interesse, sollazzandosi la notte nel vigoroso abbraccio plebeo del cameriere Fabrizio. Bravissima l'attrice nel rendere esplicita l'odiosa la trama mercantile, senza per questo uscire mai da Goldoni. A Mirandolina concede cioè anche le sfumature, a tratti leziose, a tratti ipocritamente efficienti, in altri momenti perfino ammantate di onestà. E arriva, gloriosa e impudente, all'epilogo. Che pare morale. Carriglio costruisce con la stessa coerenza e pulizia la "parte" degli uomini. Comico con amarezza, e miserabile nel suo lignaggio privo di patrimonio che diventa spilorceria, il Marchese di Forlipopoli di Nello Mascia; deliziosi l'aplomb partenopeo e la facondia affettata del Conte d'Albafiorita di Sergio Basile; ottima l'austerità sensuale del Cavaliere di Ripafratta di Luca Lazzareschi; di gran riguardo il piglio popolaresco e l'ingenuo puntiglio da innamorato del Fabrizio di Luciano Roman. Le due guitte che capitano alla locanda, distraendo per un attimo dalla lotta per Mirandolina i compiacenti aristocratici, sono, con merito e bellezza, Aurora Falcone ed Eva Drammis. Carriglio non ha lasciato al caso nemmeno l'azione dei servi di scena, che si succedono fantasmatici in palcoscenico spostando da una parte all'altra il grande tavolo centrale, le panche, le poche suppellettili. La loro azione, con il tramite del suono, risulta così fluida e sempre agganciata all'andamento della rappresentazione, evitando le sempre fastidiose cesure dell'azione. Uno spettacolo da non perdere.

Ultima modifica il Domenica, 22 Settembre 2013 08:17

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