con Anna Bragagnolo, Mattia Beraldo, Moreno Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto, Hannes Perkmann, Hauptsturmbannführer Aue; Benno Steinegger, Leutnant Voss
Voci fuori campo di Silvija Stipanov, Marta Cerovecki, Gayanée Movsisian, Yasha Young, Laurence Heintz
Traduzione e consulenza linguistica Filippo Tassetto; Costumi Serena Bussolaro, Silvia Bragagnolo, Simone Derai; Musiche originali Mauro Martinuz, Paola Dallan, Marco Menegoni, Simone Derai, Gayanée Movsisyan, Monica Tonietto; Musiche non originali Komitas Vardapet, musiche della tradizione medievale armena; Video Moreno Callegari, Simone Derai, Marco Menegoni; Drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi; Regia Simone Derai
Produzione Anagoor 2012, coproduzione Trento Film Festival, Provincia Autonoma di Trento, Centrale Fies, Operaestate Festival con il sostegno di APAP Network Culture Programme of European Union, iniziativa realizzata con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
Anagoor è parte del progetto Fies Factory Residenze SC - Culture of change | University of Zagreb - Student centre | Zagreb, HR; Tanzfabrik | Berlin, D; Conservatoire de Strasbourg
a Casalmaggiore, Teatro Comunale, 27 gennaio 2013
L'urlo strozzato di Ifigenia, sacrificata dal padre Agamennone, la disquisizione fra un gerarca nazista e un linguista in divisa da Ss sulle lingue e la scientificità delle razze in area caucasica tratto da Le benevole di Jonathan Littel, la furia venatoria di San Giuliano, patrono dei cacciatori rappresentano i tre blocchi drammaturgici di L. I. Lingua Imperi di Anagoor. I ragazzi di Anagoor: Anna Bragagnolo, Mattia Beraldo, Moreno Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto diretti da Simone Derai, costruiscono una messinscena che va in cerca dello stretto legame fra lingua e potere, fra idioma e dominazione dei popoli, lo fanno con una stringete argomentazione che si riversa sulla scena in una 'rappresentazione anti-teatrale', in una sorta di dimostrazione agita di pensiero possibile sul potere, sulla violenza con cui l'uomo deve convivere, una violenza che scoppia virulenta, che contagia le parole e il corpo e interroga le coscienze. Allora in scena accade che le parole diventino immagini, azioni, accade che la definizione di stranieri offerta dai greci con oi barbaroi, ovvero coloro che balbettano, o il modo con cui i russi definiscono i tedeschi: 'muti' trovino riscontro nelle bocche cucite di giovani che compaiono su un grande video, intervallati dal passaggio di pecore: due modi di significare il silenzio delle vittime delle guerre, un modo per dire del silenzio assordante dei sacrifici compiuti in nome dei confini posti non dalla razza o dall'appartenenza, ma dalla lingua e dalla necessità di segnare un'origine, un'autenticità di un popolo, piuttosto che di una nazione. Ecco che i corpi adolescenti degli attori/performer di Anagoor sono corpi ammassati, ecco che la freccia scoccata sul bersaglio è segno di un cacciare che è anche un essere cacciati e che si compie nello sguardo di un cervo che interroga e ci interroga. Tanti i segni che mettono a punto gli Anagoor, un chiedersi quale è l'origine del potere, della violenza ad esso connessa, del confine che rende l'atro non solo desiderabile, ma conquistabile, che rende l'altro oggetto e merce di scambio, che rende l'altro nemico, semplicemente perché diverso, semplicemente perché parla un'altra lingua, seste in un altro modo... Hanno studiato e tanto i ragazzi di Anagoor, non fanno un passo senza un auctoritate cui far riferimento, non dicono che per interposta parola eppure alla fine costruiscono il loro 'discorso', un dire che è dimostrazione argomentativi della banalità del male e della sua terribile e inquietante origine linguistica e pretese pseudoscientifiche, ma soprattutto un 'discorso' che alla fine riflette un mdus teatrale, antiteatrale, un'estetica dell'essenziale e del barocco al tempo setsso che è calligrafia dell'anima e graffiante stupore di chi sta a guardare, di chi senza orizzonte non può che cercare un senso nelle maglie stingenti della lingua e dell'argomentare per trovare un bandolo di verità. L. I. Lingua Imperi è un lavoro che inquieta per la sua secchezza e per la freddezza e per quei corpi e volti di ragazzi poco più che adolescenti che dicono di una fragilità che angoscia e si pone come voce muta delle vittime che interroga il nostro presente.
Nicola Arrigoni