di Eduardo De Filippo
con Natalino Balasso, Michele Di Mauro e con Veronica D’Elia, Gennaro Di Biase, Christian Di Domenico, Maria Laila Fernandez, Alessio Piazza, Sabrina Scuccimarra, Manuel Severino, Alice Spisa, Anna Rita Vitolo
scene Roberto Crea
costumi Giuseppe Avallone
luci Pasquale Mari
musiche e progetto sonoro Antonio Della Ragione
regia Gabriele Russo
produzione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Biondo Palermo, Emilia Romagna Teatro ERT
Vicenza, teatro Comunale, 14 e 15 gennaio 2025
Illusione fa rima con credulone e una bella parte di verità c’è per questa definizione nella commedia eduardiana, che è di una profondità drammaturgica forte e molto rivela dell’umano. Testo definito anomalo, commedia nera sicuramente non dentro i canoni più classici della drammaturgia che il grande autore aveva fatto vedere fino a quel momento, lo spettacolo diretto da Gabriele Russo (visto a Vicenza) è bellissimo e apre le porte a innumerevoli riferimenti esistenziali dove salta fuori di tutto e dove c’è ben poco per consolarsi. Una grande alchimia, insomma, che giustamente rende ancor più giustizia al suo saggio, genio, versatilissimo autore, attore e regista che il mondo intero ci riconosce. La scatola magica, a sua volta, dove si svolge la storia, il giardino di un grande albergo di riviera, il Metropole, non è che il confine limitato della mente, subordinata in questo caso alle malvagità di un artista in parte deluso divenuto giocoforza il mago cialtrone Otto Marvuglia con tanto di miraggio a danno di uno degli ospiti, Calogero Di Spelta, credulone, e gelosissimo della moglie. Marvuglia gliela fa sparire in un gioco d’illusione, appunto, per coprire un adulterio con la complicità autocompiaciuta di altri, rivelandogli comunque la virtualità dell’accaduto. E che fa, Di Spelta? Si rifugia nel credo psicologico conveniente per lui, dell’abbaglio. Si’ perché Marvuglia gli fa credere che quello che ha vissuto è un miraggio, e a Di Spelta non sembra vero a quel punto crederci, negando il vero accaduto. Che poi è realtà nella finzione e viceversa. Illusione e disperazione vanno dunque a braccetto, si scambiano di ruolo e di posto, di personaggi. Il condizionamento ricevuto da Calogero (un ottimo Balasso) è però palesemente triste per un uomo. Il mago, un manipolatore nel senso più subdolo del termine, cialtrone di una purezza infima sfida così il suo cliente e di lui si fa gioco per interesse, ma anche per il gioco stesso, per la stessa abracadabra illusiva, rivelando la vera azione qual è. Michele Di Mauro al mago dà un’interpretazione eccelsa, con Balasso è un dualismo ad adesione uomo-personaggio, una sfida a duello e dunque un vero piacere da vedere. Marvuglia però non è certo l’unico essere infimo in questa girandola di piccoli corrotti, dove si muovono uomini e donne, esseri un po’ allocchi e con pochi scrupoli, blandamente vivi e truffaldini per sentirsi tali. Perlomeno passivi. Lo svolgersi inquietante della vicenda è sospeso tra verità e finzione. Il genio di Eduardo, sebbene la commedia non fu capita all’epoca (1948) della sua prima messa in scena, sta proprio nell’atto di aver tirato fuori dal cilindro, per fare una citazione, ben più di un coniglio, un po’confondendo di proposito lo spettatore nella confusione surreale dei personaggi stessi. Si sta a bocca aperta cercando di riflettere su cosa è davvero successo e cosa no, dove c’è realtà e dove finzione, ed è un crescendo ammaliante, di una bellezza imponente e sofisticata, che brilla e rapisce. Testo meraviglioso, spregiudicato per certi versi, La Grande Magia è in scena oggi (che bellezza la cosa) dopo un bel po’ di anni dall’adattamento di Strehler, stavolta con la splendida regia di Gabriele Russo. Un altrettanto ottimo cast sta attorno ai protagonisti, da Alice Spisa, la moglie di Di Spelta a Gennaro Di Biase che fa Mariano D’Albino e un brigadiere, da Maria Laila Fernandez, la Signora Marino e Rosa Di Spelta a Sabrina Scuccimarra nei panni della moglie di Marvuglia, Zaira, e ancora altri. Gabriele Russo dirige la commedia con delicatezza e ferocia assieme, giostrandone i personaggi, e dunque gli attori, con maestria, e non ricorre a sotterfugi di nessun genere, mettendo in scena il testo puro com’è, tra psicologismi importanti, metafore e metafisica, dove Di Spelta sembra quasi un Lear dimenticato nel palazzo, un Amleto solo di fronte alle sue turbe, e Marvuglia un povero diavolo rassegnato nella rincorsa dell’esserci. Indovinatissimi costumi e scene. Decisamente una commedia da non perdere, meglio, un appuntamento a cui non mancare. Fino a inizio primavera nei teatri italiani. Francesco Bettin