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LA PESTE - IL TENTATIVO DI ESSERE UOMINI - regia Serena Sinigaglia

"La Peste - Il tentativo di essere uomini" regia Serena Sinigaglia. Foto Serena Serrani "La Peste - Il tentativo di essere uomini" regia Serena Sinigaglia. Foto Serena Serrani

tratto dal romanzo “La peste” di Albert Camus, Editions Gallimard
versione italiana e adattamento Emanuele Aldrovandi
con Marco Brinzi, Alvise Camozzi, Matteo Cremon, Oscar De Summa, Mattia Fabris
scene Maria Spazzi
costumi Katarina Vukcevich
luci Alessandro Verazzi
suoni e scelte musicali Sandra Zoccolan
regia Serena SInigaglia
produzione Teatro stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano
Padova, teatro Verdi, 2, 3, 4, 5, 6 marzo 2022

www.Sipario.it, 5 marzo 2022

In un procedere del tempo lento e ripetitivo, in quel di Orano, Algeria, irrompe tra la popolazione a piccoli ma chiari, evidenti segnali, una novità. Si sente in giro di un topo trovato morto, poi dieci poi molti di più. Si sente di malesseri, di persone colpite da qualcosa che stona con il quotidiano, che accende lampadine mentali e virtuali e mette brividi prima ancora che si sappia cos’è. Un medico, il dottor Rieux, porta sua moglie a curarsi. Ma è’ presto detto, è lui stesso che certifica e conferma, dopo le classiche voci che in questi casi girano, si fanno amplificatori. E’ la peste. Quella che può accomunare, e che è andata in scena con grande rigore e finezza artistica al teatro Verdi di Padova, nel meticoloso lavoro d’adattamento di Emanuele Aldrovandi, con la regia di Serena Sinigaglia, in un silenzio attonito degli spettatori, colpiti come davanti a uno specchio dalla vicenda. Diciamo subito che è uno spettacolo che attenziona diversi temi, smarrimento, dolore, amicizia, visione della vita in via di modifica, al quale il pubblico ha risposto bene, con applausi sentiti e scroscianti. Da subito si entra nel parallelismo col mondo di oggi, con le stesse situazioni, lo stesso angosciante clima di un paio d’anni fa, che abbiamo vissuto appieno e che pian piano ora noi stessi, uomini, pubblico, forse ci lasceremo alle spalle presto. In terra algerina, siamo nel 1940, la situazione è stata anticipata da Albert Camus, e adattata per il teatro da Emanuele Aldrovandi, con la regia di Serena SInigaglia. Simbolicamente sono una decina i personaggi che si muovono in questo contesto, silenzioso e tormentoso che si costruisce ora dopo ora come qualcosa che porta via, annienta, addolora. Tutto attorno è il bianco della polvere e dei sacchi di sabbia sistemati sulla bella scena di Maria Spazzi, che racconta di una staticità che fa perdere il senno. Le dinamiche con le quali si confrontano Grand, il giornalista Rambert, l’affarista Cottard, padre Paneloux, Tarrou, il dottor Rieux e il prefetto Othon, avvisati da un preoccupato portinaio che anticipa col delirio dei topi ritrovati la peste, si annodano e si pongono all’ordine del giorno, scalzando com’è normale che sia l’esistenza fino a quell’istante. Lo scetticismo riguarda qualcuno di loro che non prevede situazioni nefaste, anche il dottor Rieux a un certo punto perde la ragione pur credendo nella scienza. C’è anche la tesi del Supremo che punisce la comunità che pecca, e va reindirizzata, affidando ai personaggi stessi che diventano, sono, narratori della vicenda parlando in terza persona come in prima, per rendere completamente la storia. Smarriti e confusi, i personaggi inseguono anche da diversi punti di vista la peste, la risoluzione di essa. Un cammino tortuoso, sperato, detonante che porta vittime e speme, che vedranno luce al termine del dramma, che come la stessa regista SInigaglia afferma nelle note di regia è tutto anche metafora dell’uomo e della sua esistenza sul pianeta. Bravi i cinque attori, qualcuno più spigoloso, qualcuno più surreale, che rendono e mettono in fila i malesseri esistenziali ma al tempo stesso ricordandoci fratellanza, condivisione, senso comunitario. Tutti degni di nota, Marco Brinzi, Alvise Camozzi, Matteo Cremon, Oscar De Summa e Mattia Fabris, ancor più perfetti in qualche invenzione registica sopraffina, come quella da citare, del mettere e rimettere camice, guanti, mascherine, a testimoniare durezza, speranza.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Martedì, 08 Marzo 2022 11:19

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