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JESUS - di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco

"Jesus", di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco "Jesus", di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco

di Valeria Raimondi, Enrico Castellani e Vincenzo Todesco
parole di Enrico Castellani
con Enrico Castellani, Valeria Raimondi
scene Babilonia Teatri
luci e audio Babilonia Teatri/Luca Scotton
costumi Babilonia Teatri/Franca Piccoli
organizzazione Alice Castellani
grafiche Franciu
produzione Babilonia Teatri
in coproduzione con La Nef /Fabrique des Cultures Actuelles Saint-Dié-des-Vosges (France)e MESS International Theater Festival Sarajevo (Bosnia and Herzegovina)
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione con il sostegno di Fuori Luogo La Spezia
Livorno, Nuovo Teatro delle Commedie, 16 gennaio 2015
al Teatro delle Briciole, Parma, 13 febbraio 2015

www.Sipario.it, 2 aprile 2015
www.Sipario.it, 17 gennaio 2015

Jesus di Babilonia Teatri è l'urlo disperato per una favola bella cui si vorrebbe credere fino a morire, sperando in una resurrezione. Jesus è un canto dolente e rabbioso, è la sfida di Valeria Raimondi, torero donna che si mette alla prova con l'insfidabile, che danza sul nostro bisogno di Dio, sulla faccia di Gesù, sul suo uso ed abuso, sulla nostra coscienza sporca e voglia di illuderci ancora che un senso ci sia. Jesus dei Babilonia Teatri è un inno laico al Dio che non c'è, alla favola impossibile a cui credere, al bisogno di senso dei bambini come degli adulti, è l'urlo strozzato per un Dio che è morto ma che continuiamo a cercare, è il grido che muore in gola quando l'età dell'infanzia e della magia risulta definitivamente svanita. Valeria canta, enumera il nostro rapporto col Cristo, enumera l'abuso iconografico di Gesù, ci getta in faccia l'uso pornografico e comodo che facciamo di quell'icona, fino a spararci addosso i santini di Gesù che alla fine, uscendo da teatro, si fatica a non calpestarli ed non è una bella sensazione... Eccola Valeria a raccontarci la domanda del figlio sulla tavola imbandita della Vigilia di Natale: perché il bambinello deve ancora nascere e sulla parete della sala è sofferente in croce: perché deve morire? Tutti devono morire? Ma se lui muore, chiede il piccolo, e poi risorge, risorgiamo anche noi? Quegli interrogativi sulla vita, morte e resurrezione dell'uomo, quello con la u minuscola: il nonno e la nonna, il papà e la mamma sono gli interrogativi del piccolo figlio di Valeria ed Enrico ma sono gli interrogativi sulla morte e il senso della vita che sono dell'uomo, o almeno dovrebbero esserlo. Beh, i Babilonia quegli interrogativi ce li sbattono in faccia e fanno male, malissimo. Jesus è il capro legato che si compone in una natura morta fatta di patate e dell'insegna luminosa JESUS di una straziante bellezza. Assistendo al canto verbale di Babilonia Teatri si fatica a respirare, ci si ritrova a tu per tu con il bisogno di Dio, la fame di illusione e la ragione che stringe, impietosa e dice: non è possibile, non è così, niente resurrezioni per favore. Eppure alla fine Valeria in abito bianco illuminato da un neon accecante enuclea il suo 'credo nelle chiese di pietra', ovvero in quei luoghi e spazi carichi di bellezza e di intimità in cui forse un contatto con Dio, una possibilità di continuare a credere c'è, a credere che la vita abbia un senso, che ci sia una resurrezione nell'amore. Quel credo nelle chiese di pietra cantato da Valeria si concreta nell'immagine di Enrico e Valeria insieme, nudi, immagine di Adamo ed Eva di Masaccio, immagine di una religione dell'amore che se non dà speranza, per lo meno racconta di un umano compiersi del nostro stare al mondo nella fusione con l'altro, nell'amore che quando è amore incondizionato sa essere divino. Si esce commossi e alla ricerca di uno Jesus possibile che ci aiuti ad accettare la nostra finitezza.

Nicola Arrigoni

Che cosa è lecito o ragionevole aspettarsi da una compagnia giovane ma non giovanissima, conosciuta ma non conosciutissima, apprezzata ma non apprezzatissima? Forse la risposta è: che abbia voglia di imbarcarsi in imprese sempre nuove, al di sopra delle proprie possibilità, per cambiare rotta e non navigare in acque sicure.
A dispetto del tema cristologico (o forse proprio in ossequio ad esso), Babilonia Teatri, ovvero Enrico Castellani e Valeria Raimondi, qui coadiuvati dal drammaturgo e sceneggiatore Vincenzo Todesco, restano invece fedeli a loro stessi, fedeli cioè a un approccio e a un modello di spettacolo ormai più che allenato con i precedenti lavori. Negli ultimi anni Enrico e Valeria hanno costruito spettacoli prendendo a oggetto la morte (o meglio il consumismo funerario, in The end), le ossessioni e le manie italiche (nel pluripremiato Made in Italy), la pedofilia (con il più recente Lolita, del 2013): arrivano quindi ben temprati all'uscio del paradiso, sollecitati, come dichiarano, dalla recente genitorialità, a svolgere un'inchiesta su Gesù, sull'origine della fede cattolica cioè. Ma all'ostentata improntitudine della scelta tematica, che alcuni recensori scambiano per dimostrazione di temerarietà, non fa riscontro una riflessione capace di sorprendere, di volare alto, di porsi come vera alternativa al parlottio mediocre di una contemporaneità chiacchierona quanto paurosa.
Jesus è a tutti gli effetti uno spettacolo di parole, in cui tornano le esilaranti elencazioni, che sembrano costruite usando il completamento automatico dei motori di ricerca (un esempio: «Jesus è il nome del fidanzato di Madonna / Jesus è un paio di jeans / Jesus è una miniserie televisiva / Jesus gioca nell'Inter / Jesus è il migliore amico del grande Lebowski», eccetera). Tornano le tirate aggressive, scalmanate e microfonate, le domande assillanti e le risposte provocatorie, le catene anaforiche, in un flusso verbale ora seducente ora ai limiti della blasfemia. Torna un allestimento scenografico pressoché inesistente, limitato a pochi oggetti che hanno forse la pretesa di apparire sconcertanti (in questo caso un agnello legato per le zampe e calato su uno strato di patate, piatto forte dell'ultima cena). E torna la musica, come colonna sonora didascalica che riempie i vuoti tra i movimenti: in questo caso si ascolta (ed era facile da prevedere) l'invettiva di Nada dal titolo Gesù, la robusta Personal Jesus firmata Marylin Manson e da ultimo la voce suadente di Jeff Buckley in Hallelujah.
In tutto cinquanta minuti di spettacolo, ripagati con scarso entusiasmo dal pubblico livornese del Nuovo Teatro delle Commedie. È comunque da sottolineare la ri-nascita di uno spazio che grazie alla Fondazione Toscana Spettacolo potrà accogliere forme e generi diversi da quelli ospitati nel primo (e quasi unico) teatro cittadino. Per i prossimi due mesi una rassegna di teatro di ricerca comprendente Virgilio Sieni, Saverio La Ruina, Michele Santeramo e un Calapranzi di Pinter con cast interamente femminile che incuriosisce non poco.

Carlo Titomanlio

Ultima modifica il Giovedì, 02 Aprile 2015 13:22

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