Saggio di Diploma del corso di Recitazione dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico
regia Antonio Latella
drammaturga Linda Dalisi
La Locandiera
con Annabella Buonomo, Maria Chiara Arrighini, Francesca Somma, Edoardo Sani, Flavio D’Antoni,
Sabatino Trombetta, Riccardo Longo, Alessandra Arcangeli, Giuseppe Benvegna
scenografia Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
movimenti Francesco Manetti
suono e musiche Franco Visioli
luci Simone De Angelis
organizzazione Brunella Giolivo
assistente alla regia Marco Corsucci
direttore di scena Alberto Rossi
sarta di scena Maria Giovanna Spedicati
fonico Akira Callea Scalise
Roma – Teatro India dal 17 al 20 giugno 2022
È una Locandiera poco settecentesca quella diretta da Antonio Latella. La scenografia: una tavola di legno compensato sulla quale vi sono due sagome bucate: una maschile ed una femminile, da dove man mano si affacciano e recitano i vari personaggi. Movenze ridotte al minimo, oggetti assenti. Tutto è affidato a discorsi e battute. Quasi riprendendo l’assunto di Savinio all’inizio di Alcesti di Samuele: il teatro è parola. Quanto di più distante per un testo goldoniano.
Molto contemporanea anche la recitazione: nelle movenze, nelle espressioni, nei gesti, nel modo di dire le battute, nel tono di voce e, ogni tanto, anche con qualche parola volgare che nella versione originale il drammaturgo veneto non aveva di certo pensato di scrivere.
Quasi a voler dire: un testo del Settecento è troppo distante nel tempo per essere compreso da noi contemporanei. E quindi lo si adatti! Conta, dopo tutto, il messaggio ch’esso esprime.
E come dar torto? Ma un’opera d’arte è, innanzitutto, una forma. E non esiste artista che, prima d’ogni cosa, non abbia meditato in quale forma organizzare il suo lavoro.
Dell’aspetto originario, nulla è rimasto in questa Locandiera. Lo stesso personaggio di Mirandolina, così pieno di contraddizioni al punto da non capire quanto sia menzognera o sincera, è qui limpido come acqua sorgiva. Nella regia di Latella, e ancor più nell’interpretazione di donna forte e consapevole di sé di cui ha dato prova Annabella Buonomo, l’aspetto originario di mistero mai dissipato non emerge.
Rigido e nervoso, quasi sull’orlo d’una crisi furiosa, il Cavaliere di Ripafratta di Edoardo Sani, perennemente col volto contratto, tutto sulle sue se intento a coltivar pregiudizi sulle donne; immediatamente dolce e dall’espressione bambinesca quando si scopre innamorato di Mirandolina.
Flavio D’Antoni ha disegnato un Marchese di Forlipopoli simile a un bimbo viziato che, pur nell’età della ragione e delle responsabilità, finge d’essere all’altezza della sua nuova vita mentre, invece, si rivelerà per essere quello che è: un immaturo che non può fare a meno dell’altrui aiuto.
Soprattutto di quello del Conte d’Albafiorita, interpretato da un Sabatino Trombetta straordinario, talentuoso, pieno di energia, eclettico al punto da sapersi ben giostrare nel giro di pochi secondi sia nel genere comico-farsesco che in quello più posato che richiede uno stile drammatico. Un attore così ironico e versatile ci si augura abbia una lunga e gloriosa carriera.
Bravo, sebbene con ancora poco mordente – ma si è all’inizio d’una carriera, e quindi tutto si può perdonare –, il Fabrizio di Riccardo Longo, somigliante ad uno Jacopo Ortis meno romantico e più fermo nelle sue decisioni.
Malgrado una drammaturgia troppo essenziale e semplificata, questa Locandiera – grazie alle qualità dei giovani interpreti – ha regalato al pubblico dell’India un pomeriggio piacevole, divertente e con attori che sanno stare sul palco, calcandolo con grande espressività e cura dei propri mezzi espressivi.
Pierluigi Pietricola