Kanemu-Jima
Una creazione collettiva del Théâtre du Soleil
in armonia con Hélène Cixous
diretta da Ariane Mnouchkine
musica di Jean-Jacques Lemêtre
Un’esperienza immersiva, totalizzante ed assolutamente indimenticabile. Entrare alla Cartoucherie è già di per sé varcare le soglie di una dimensione altra: La Cartoucherie è un ex sito di produzione di armi e polvere da sparo situato nel Bois de Vincennes nel 12° arrondissement di Parigi. Nel 1970 la Cartoucherie è stata trasformata da Ariane Mnouchkine in un luogo di creazione teatrale con la troupe del Théâtre du Soleil, che ha fondato con Philippe Léotard nel 1964. Un posto che offre diversi spazi di prova e diverse realtà sceniche in cui assistere ad una programmazione varia e interessante. Il Théâtre du Soleil è la sala più grande all’ingresso della quale la stessa Ariane Mnouchkine ci attende per prendere i biglietti e augurarci una buona visione. Già solo questo basterebbe ad aprirci ad una fruizione della spettacolo certi di non assistere ad una manifestazione egotica, ma una volta entrati ci rendiamo conto che quello era solo l’inizio. L’accoglienza continua tra le grandi tavolate e gli stands che cambiano di volta in volta in base all’ambientazione della pièce teatrale: qui siamo in Giappone e tra lampade bianche e leoni Hokusai possiamo degustare una serie di piatti giapponesi preparati dalla stessa troupe. Gli attori intanto si preparano a vista: una tela forata ci separa da loro ma possiamo guardare ed entrare nell’intimità di quel momento così affascinate e delicato che è la trasformazione dell’attore in personaggio. Il risultato è che in questa atmosfera siamo già dentro allo spettacolo, siamo parte di esso e abbiamo lasciato al di là del Bosco di Vincennes tutto il nostro quotidiano. E’ innegabile che questo sia un modo per arrivare disarmati e in qualche modo “pronti” ad essere coinvolti totalmente nella performance. Tutto comincia con uno “squillo intradiegetico”: l’attore ai piedi del palco che ci esorta a spegnere i cellulari per non disturbare è proprio colui a cui il cellulare squilla.. ma la telefonata non è per lui: è per la protagonista de L’ÎLE D’OR (L’isola D’Oro) una donna anziana e malata che dorme sul palco. La donna costretta a letto vive le sue ultime ore convinta di essere in Giappone: veniamo quindi trasportati nel suo mondo immaginifico dove gli attori hanno fattezze orientali grazie a delle maschere di nailon e parlano in “Giapponese” mettendo il verbo in fondo alla frase…siamo guidati dentro e fuori questa storia orientale di un’isola in cui mancano i fondi per organizzare un grande festival teatrale e dove si prospetta la minaccia della costruzione di un casinò. La vicenda è intricata ma anche se alcune parti del racconto si perdono nelle quasi tre ore di performance, è il fascino e la potenza delle immagini create che fanno si che il tempo si sospenda: in un vortice di cambi scena a vista, vengono ricreati gli ambienti giapponesi con una tale aderenza alla realtà che pare di essere in un film in cui tra dissolvenze incrociate si concretizzano piscine di acqua calda, camere da letto, uffici, porti, vulcani, elicotteri, giardini di ciliegi in fiori, librerie, paesaggi innevati, alte maree, deserti… e la stanza d’ospedale in cui ripiombiamo in una scena tra le più toccanti: l’ultimo saluto della donna che si collega via zoom con la madre proiettata su uno schermo davanti a noi, una mamma, che malata forse di Alzheimer, crede di essere sua figlia. La musica e i suoni sono creati in estemporanea da abili musicisti presenti sul palco e gli attori si confrontano con lingue diverse passando dall’arabo al cinese.
Lo spettacolo si conclude con una bellissima coreografia di tutti i personaggi che tra onde rosa avanzano verso di noi sulle note di Vera Lynn - We'll Meet Again toccando l’acme di commozione prima di essere salutati da un’ultima performance di percussioni con cui risvegliarsi nella “realtà” che ci attende … con la forte sensazione di aver preso parte alla creazione di un ricordo incancellabile.
D.G