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IO NON HO MANI CHE MI ACCAREZZINO IL VISO - regia Francesca Macrì

"Io non ho mani che mi accarezzino il viso", regia Francesca Macrì "Io non ho mani che mi accarezzino il viso", regia Francesca Macrì

di Francesca Macrì e Andrea Trapani
con Aida Talliente e Andrea Trapani
regia Francesca Macrì
costruzioni scene Teatro della Tosse
luci Gianni Staropoli
suono Umberto Fiore
produzione Teatro dell'Elfo, Fattore K, Fondazione Luzzati - Teatro della Tosse
in collaborazione con Armunia, Cie Twain Residenze, La Città del Teatro di Cascina, La Corte Ospitale, Teatri di Vetro
Teatro Elfo Puccini, Milano, dal 21 novembre al 3 dicembre 2017
Teatro della Tosse di Genova 14 dicembre 2017

www.Sipario.it, 15 dicembre 2017
www.Sipario.it, 30 novembre 2017
"Io non ho mani che mi accarezzino il viso" è uno studio a due personaggi sulla miseria della condizione umana, che prende le mosse dalle pietre miliari della drammaturgia tedesca "Santa Giovanna dei macelli" di Bertolt Brecht e "Woyzeck" di Georg Büchner.

Aida-Giovanna si interroga sull'ingiustizia, sul prezzo troppo alto da pagare per restare fedeli a se stessi, sulla possibilità di una rivoluzione che può partire solo dalla comunanza di intenti di tutti gli oppressi, invocando la Speranza. Andrea-Woyzeck racconta l'innocenza del personaggio presentandolo bambino tra i banchi di scuola, rimproverato dalla maestra e deriso dai compagni, per incontrarlo poi adulto, risucchiato dalla spirale di gelosia, follia e omicidio dell'amata Marie.

La dimensione frammentaria della performance e l'alternanza del registro didattico-declamatorio con quello più squisitamente drammatico non aiutano lo spettacolo a trovare coesione, voce, visione.
Degno di nota l'impianto acustico sistemato sulla scena, che non tradisce l'aspettativa di uno spettacolo sonoramente curato. Aida regala momenti di suggestione attraverso la magia della creazione del suono e della manipolazione della voce.

Gli attori si donano con generosità ma lo spettacolo resta sospeso, distante. Nonostante il sudore di Andrea e l'ardimento di Aida la performance appare cerebrale, a volte retorica. Una lezione lineare da cui non traspare il brivido, l'errore, la scoperta. L'energia spesa sulla scena non arriva tra le file della platea. Lo spettatore riceve più di uno spunto su cui riflettere sul cammino verso casa, ma su un piano speculativo, senza mettere mano alle emozioni. Applausi freddi, come la neve che, sparata sul proscenio, cala a terra come un sipario.

Marianna Norese

Al centro della scena una donna con le braccia alzate al cielo invocante la speranza. Su di lei cadono i fiocchi di una neve artificiale. E poi, in sottofondo, il forte rumore stridente e ascendente di un treno. È questo il finale suggestivo di "Io non ho mani che mi accarezzino il viso" di Francesca Macrì (anche regista) e Andrea Trapani. I due autori mischiano reale e immaginario, rappresentazione e vita, l'essere personaggi e l'essere attori. La fragilità umana è il filo rosso che tiene unite queste antinomie lungo una non storia in cui la speranza di un ribaltamento esistenziale, che eluda il male del mondo, resta, forse, l'unico appiglio a cui aggrapparsi. È su queste note drammaturgiche che scorre la recitazione di Aida Talliente e Andrea Trapani attraverso le loro emozioni private e intime, da un lato, e l'interpretazione dei personaggi di Santa Giovanna dei Macelli di Brecht e il Woyzeck di Büchner, dall'altro. Due attori e due personaggi che giocano alternativamente e in contrasto tra loro i ruoli di un'illusione benefica di un futuro migliore e quello deprimente di un cinismo che non lascia via di uscita all'immaginazione. I suoni indefiniti e le note di un pianoforte suonato da Andrea Trapani confondono le "acque" già agitate per l'impossibilità di raggiungere un equilibrio stabile per la vita degli attori e dei personaggi. Assistiamo alla messinscena di una frammentazione drammaturgica che fatica a produrre gli effetti voluti al di là del messaggio che ci vuole comunicare e che recepiamo. La recitazione è spesso troppo urlata e la sua conduzione non riesce, pienamente, a compensare l'eccesso. Sì, perché, forse è proprio l'eccesso a caratterizzare i messaggi offerti (troppo ripetuti) della drammaturgia, la recitazione troppo al di sopra delle righe e la regia che ci colpisce, del tutto, solo nella scena finale. È un eccesso disordinato fra parti che non trovano un equilibrio efficace e sembrano cadere sole come i fiocchi di neve che scendono nel finale. È uno spettacolo di cui abbiamo apprezzato i significati sottostanti, le intenzioni e meno le forme con cui si è voluto comunicarli.

Andrea Pietrantoni

Ultima modifica il Sabato, 16 Dicembre 2017 09:08

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