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INTRA A' MEDEA - regia Daiana Tripodi

Diana Tripodi in "Intra a' Medea" regia Daiana Tripodi Diana Tripodi in "Intra a' Medea" regia Daiana Tripodi

con Daiana Tripodi pure autrice e regista
assieme a Germano Marano
al
Clan Off Teatro di Messina 17-18 dicembre 2016

www.Sipario.it, 18 dicembre 2016

Ogni donna tradita è una potenziale Medea. Una bomba ad orologeria pronta a deflagrare non appena s'accorge che il proprio uomo la sta lasciando per un'altra donna. Euripide dipinge la sua Medea come una "donna di pietra", "una leonessa più selvaggia di Scilla", intrigando la sua immagine tanti altri scrittori, da Seneca a Corneille, da Grillparzer a Pasolini...vedendo in lei pure una barbara, una maga, una dea, una madre di due figli, in grado, per macchinazioni divine, di tradire suo padre Eeeta, re della Colchide, uccidere suo fratello Assirto e Pelia, zio di Giasone. Intervenendo pure, con i suoi poteri occulti, perché si concretizzasse la conquista del Vello d'Oro molto cara al suo amato Giasone e ai suoi Argonauti. Una donna insomma la cui sola colpa è l'amore per il suo uomo, per il quale ha fatto le più inumane cose e che adesso se lo vede sparire sotto gli occhi, preferendole la giovane Creusa, figlia del re Creonte. Sulla piccola scena del Clan Off Teatro di Messina adesso c'è solo lei, una Medea monologante impersonata da Daiana Tripodi, originaria di Polistena, in abiti bianchi e neri (i costumi erano di Umay Kuo), con medaglione al collo a forma di sole, pure autrice e regista assieme a Germano Marano, dello spettacolo Intra a'Medea (dentro Medea) recitato in lingua calabrese, impressionando non poco all'inizio chi scrive, sentendole dire ad alta voce comu pozzu jeu jettari sangu, jeu Medea figghia di re... (come posso io gettare sangue, io Medea figlia di re...). Oppure: Amuri meu, ma comu fascisti u' ti scordi chidu chi jeu e tia eravamu...A pigghiammu n'zemi sta navi, affruntammu tutti li correnti, tutti li mari chiu' agitati, tutti li tempesti sempi n'zemi (Amore mio, ma come hai fatto a dimenticarti quello che io e te eravamo... L'abbiamo preso insieme questa nave, affrontando le correnti, tutti i mari più agitati, tutte le tempeste sempre insieme...). Si certo queste parole le abbiamo capite, ma tante altre no, anche perché per alcuni suoni gutturali, aspri e sibilanti, quasi in greco antico, ci volevano i sottotitoli. Tuttavia l'assolo della Tripodi, segnato da tre lumini durati accesi poco meno di un'ora e dalle musiche sotto forma di tarantelle curate dai Mattanza, non era affatto noioso e si seguivano le magarie della protagonista, tesa a rendere infiammabile, con gocce tratte da un boccetto, l'abito bianco quale regalo per la futura sposa di Giasone e del di lei padre e mettere in atto infine la tremenda vendetta di soffocare i suoi due pargoli tratti da due cullette-canestri.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Lunedì, 19 Dicembre 2016 20:59

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