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GL'INNAMORATI - regia Marco Lorenzi

"Gl'innamorati", regia Marco Lorenzi "Gl'innamorati", regia Marco Lorenzi

di Carlo Goldoni
regia Marco Lorenzi
Personaggi e interpreti in ordine di apparizione
Fabrizio, vecchio cittadino Andrea Fazzari
Eugenia, nipote di Fabrizio Barbara Mazzi
Flamminia, nipote di Fabrizio e vedova Roberta Calia
Fulgenzio, cittadino amante di Eugenia Raffaele Musella
Roberto, gentiluomo Fabio Bisogni
Ettore, servitore di Fabrizio Marco Lorenzi
scene e costumi Gaia Moltedo
disegno luci Monica Olivieri
musiche originali Davide Arneodo (Marlene Kuntz)
movimenti scenici Daniela Paci
assistente alla regia Alba Maria Porto
coproduzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Il Mulino di Amleto; progetto realizzato con il contributo della Città di Torino, della provincia di Torino con il sostegno di Sistema Teatro Torino e provincia con la collaborazione del Teatro Marenco di Ceva
Teatro Comunale di Ferrara, dal 28 al 30 gennaio 2016

www.Sipario.it, 29 gennaio 2016

FERRARA - L'amore è una tematica cardinale nell'esistenza dell'uomo, tale da avere, nel corso dei millenni, catturato il pensiero di artisti, filosofi, psicologi, ognuno volendo trovare una spiegazione, una ragione, un semplice filo logico, a quel turbamento di passioni che almeno una volta nella vita travolge la tranquillità dell'animo umano. Senza la velleità di fornire risposte di qualsiasi sorta, da capace bozzettista sociale quale seppe essere, Carlo Goldoni volle trasporre sul palcoscenico il turbinio amoroso della Venezia dei suoi tempi, cogliendone con acutezza il lato comico e paradossale, e traendo ispirazione direttamente da quanto veramente accadeva per quelle calli e quei campielli, anche se, forse per evitare polemiche, Goldoni ambientò la commedia a Milano. È questa la città dove Eugenia e Fulgenzio combattono le loro schermaglie sentimentali, profondamente innamorati l'uno dell'altra, eppure persi in continui litigi che scaturiscono principalmente dalla gelosia della giovane verso Clorinda, la cognata di lui; gelosia che non ha ragion d'essere, in quanto Fulgenzio, su richieste del fratello assente per un viaggio, deve semplicemente accudire a sua moglie in veste di platonico "cavalier servente". Ma tanto basta a scatenare le ire della bella ma civettuola Eugenia, che ben conoscendo il fascino che esercita su Fulgenzio, ne approfitta senza pietà. Questa la vicenda principale della commedia che Goldoni scrisse in pochi giorni nel 1759, e che il regista Marco Lorenzi riporta sul palcoscenico, posando lo sguardo sull'universalità del tema sentimentale, un tema che ben si adatta ad essere interpretato da una compagnia di giovani attori, i quali regalano al pubblico un'interpretazione quanto mai scoppiettante e coinvolgente.
Barbara Mazzi e Raffaele Musella - rispettivamente Eugenia e Fulgenzio -, danno vita a una schermaglia in cui l'amore è istinto, impeto, rabbia, stravolgimento dell'anima e del pensiero, contraddizione, ironia, astuzia, gelosia e ingenuità. Barbara Mazzi interpreta con garbo una dama che potrebbe essere una qualsiasi ragazza dei nostri giorni, impiegandovi adolescenziale esuberanza, femminile civetteria, misurata dolcezza e calcolata "perfidia". Musella le contrappone un Fulgenzio ingenuo e gioviale, profondamente innamorato e alla ricerca di tutti i modi possibili per non urtare la sua suscettibilità, accettandone le ire di gelosia, e placandole con gesti affettuosi. Su questi delicati equilibri, il pubblico è attirato verso le bizzarrie del sentimento amoroso, "fatale" nel Settecento quanto lo è ancora oggi.
In parallelo alla vicenda di Eugenia e Fulgenzio, si svolge una sorta di commedia nella commedia, animata dai maneggi di Ettore e Flamminia, rispettivamente servitore di Fabrizio e sorella di Eugenia. A loro spetta la parte di consiglieri dei due innamorati, di complici nelle loro vicende, persino di rappacificatori. Marco Lorenzi calca il palcoscenico impersonando un Ettore che ricorda da vicino lo Scapino di Molière, traboccante iniziativa per aiutare l'amico e coetaneo Fulgenzio. E la complicità che nasce fra i due, potrebbe essere quella fra due giovani amici dei nostri giorni. Allo stesso modo, si sviluppano e confidenze fra Eugenia e Flamminia, interpretata da una energica e spumeggiante Roberta Calia, la quale interverrà "di forza" ponendo fine alle civetterie della sorella, e evitando l'equivoco del matrimonio di lei con un conte amico dello zio Fabrizio, alla quale la giovane si era promessa per semplice "vendetta" contro Fulgenzio, a causa di gelosie verso la cognata. È, lo zio Fabrizio, il padrone di casa al cui interno si svolge la vicenda, gentiluomo milanese in crisi finanziaria con la passione per le opere d'arte, che ospita appunto le nipoti.
Il mondo esterno lo si intuisce soltanto, come un espediente drammaturgico che serve da metafora dello straniamento che l'amore provoca nell'animo umano. Sullo sfondo delle commedie di Goldoni, resta comunque, anche se solo incidentalmente, l'ombra di una società, quella del Settecento veneziano, ormai in crisi. A sintetizzarla, lo sconclusionato zio Fabrizio, nell'abitazione del quale si svolge appunto la commedia. Andrea Fazzari lo interpreta con intelligenza, prestandogli la giusta dose di sconclusionata giovialità, sorta di maschera con la quale nascondere le sue difficoltà economiche, così come le sue astute, puerili mire; cerca infatti di cattivarsi il favore di nobili o ricchi cittadini, sperando di ricavarne qualche beneficio, economico o morale che sia. Lo si potrebbe inquadrare in quella categoria di "snob passivi", di cui scriverà più tardi Tomasi di Lampedusa, per i quali non scontentare i potenti è legge di vita. Si spiegano così le mille cortesie che utilizza verso il conte Roberto, allo scopo di dargli in moglie Eugenia.
I tre atti originali, di fatto vengono organizzati da Lorenzi in due parti, divise da un deciso cambiamento d'illuminazione. Se nella prima parte - dominata dalla divertente commedia dell'arte fra i due innamorati e i loro "consiglieri" -, prevale un'illuminazione intensa, nella seconda, segnata da un acceso litigio e dalla riconciliazione, domina una luce crepuscolare, intima, che ricorda certi interni di Pietro Longhi, e che segna il travaglio interiore dei due protagonisti. La colonna sonora, composta da musiche originali di Davide Arneodo, ben si adatta all'atmosfera: una sorta di rock cadenzato, che sovente si avvicina ai ritmi dei carillon, in particolare alla melodia del Carnevale di Venezia; un omaggio al mondo settecentesco, e alla sensualità che sprigionava.
A livello drammaturgico, Lorenzi opera una limatura del testo e dei personaggi, eliminando alcune figure minori, a tutto vantaggio della scorrevolezza della trama, e senza pregiudicarne il senso. A livello linguistico, è interessante il lavoro compiuto sul testo, che solo in parte mantiene l'antico italiano settecentesco utilizzato da Goldoni, optando, in maggioranza, per un italiano contemporaneo. Una scelta intelligente, che permette sia di assaporare il Settecento di Goldoni, sia di attualizzare la vicenda ai nostri giorni. La stessa considerazione vale per la scenografia e i costumi; questi ultimi hanno foggia settecentesca, ma sono indossati con la disinvoltura dei giovani del Duemila, ai quali ben si accostano sedie pieghevoli di gusto moderno, e piccoli particolari quali la bicicletta di Fulgenzio, o la televisione con cui Emilio segue le partite di calcio. Una combinazione di epoche che si amalgama alla perfezione con la magia del teatro, per il quale esiste principalmente una temporalità interiore, legata alla fantasia, all'urgenza di raccontare l'umanità e i suoi turbamenti. Una commistione, quella scelta da Lorenzi, che a tratti ricorda le regie di Valerio Binasco, senza per questo perdere in originalità. Lorenzi infatti si dimostra una volta di più, anche dopo l'interessante rilettura di Feydeau, un regista capace di scoprire negli autori la loro carica universale, e meritando appieno gli scroscianti applausi del pubblico.

Niccolò Lucarelli

Ultima modifica il Martedì, 14 Febbraio 2017 19:26

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