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Il giardino dei ciliegi, anche se gli alberi in questione sono amareni nella versione originale russa, è l’ultimo testo teatrale di Anton Cechov scritto nel 1903 e andato in scena per la prima volta al Teatro d’Arte di Mosca nel gennaio del 1904. Questa opera rispecchia lo stile di Cechov ma anche della letteratura russa che non fa sconti a nessuno e mette nero su bianco le debolezze e l’incapacità dell’individuo che non sa affrontare il proprio destino e ne diventa vittima. Al centro del racconto le vicende di una aristocratica russa e della sua famiglia, attorno alla quale ruotano diversi personaggi come il contabile, il saggio servo Firs, Lopachin un mercante arricchito figlio di un servo della famiglia, lo studente Petr Sergeevič Trofimov che è stato il tutore di Griša il figlioletto della Ranevskaja, annegato cinque anni prima. Questa tragedia ha contribuito alla partenza di Ljuba per Parigi. Ed è proprio al rientro dalla Ville Lumière che la nobildonna decaduta scopre dell’ipoteca sulla proprietà a causa dei debiti e che, se non troveranno la cifra necessaria, sarà messa all’asta. Da qui si scopre il carattere dei protagonisti e si comprende come mai siano arrivati ad una situazione del genere. Quello che principalmente si evince è la loro inettitudine che non gli permette di intervenire nel modo giusto cogliendo le occasioni che si presentano, come il consiglio di Lopachin di investire subito.  Sono personaggi decadenti che amano il fasto ma nono sono capaci di custodirlo e difronte alla sconfitta non l’accettano. Cechov ha vissuto nella sua infanzia una situazione del genere: la madre fu truffata e per questo perse la casa della sua infanzia. Come altri scritti, anche “Il giardino dei ciliegi” contiene un tassello della sua vita. 
L’adattamento firmato e diretto da Rosario Lisma, presenta non pochi cambiamenti rispetto all’originale che vanno dalla commistione tra passato e presente con l’uso di cellulari e musica moderna, alla scelta di ridurre i personaggi a sei: Ljuba, il fratello, Gaev, le due figlie, lo studente e il mercante. Discutibile la scelta non solo di estromettere un personaggio concreto come Firs ma anche la “trovata” di renderlo presente/assente con una voce fuori campo che non si capiva bene da chi fosse sentita tra i presenti in scena e perché. Diverse sono le perplessità nella messa in scena. Gli attori ballano, cantano, ridono e piangono cercando di creare quelle atmosfere nostalgiche dell’opera anche se al pubblico forse non arriva in pieno. È come se certi gesti, come il ballo dei personaggi al secondo atto, facessero perdere il filo della narrazione e stancassero lo spettatore che non si ritrova più nel racconto. Va comunque dato al regista il pregio di aver deciso di imbattersi con un dramma impegnativo e che vale la pena ancora oggi approfondire.

Simona Buonaura