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GABBIANO (IL) - regia Leonardo Lidi

"Il Gabbiano", regia Leonardo Lidi "Il Gabbiano", regia Leonardo Lidi

PROGETTO ČECHOV – prima tappa
da Anton Cechov
regia Leonardo Lidi
con (in o.a.) Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa,
Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna, Angela Malfitano
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Franco Visioli
assistente alla regia Noemi Grasso
adattamento e regia Leonardo Lidi
produzione Teatro Stabile dell'Umbria,
Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
in collaborazione con Spoleto Festival dei Due Mondi
durata 100’ circa - durata 1h 50′   
Roma – Teatro Vascello Dal 28 febbraio al 5 marzo 2023

www.Sipario.it, 3 marzo 2023

Cosa si mette in scena di un testo teatrale? La prima risposta, la più immediata: le parole dell’autore, le sue didascalie (quelle inevitabili da dover rispettare), il sottotesto che ci si immagina sia impresso nell’opera. 
Basta così? No, non basta così. In genere, anche se non ci si pensa, un testo teatrale si porta dietro una storia al di fuori delle sue situazioni drammaturgiche. È qualcosa che ha a che fare col mondo dell’autore, il suo contesto, le sue implicazioni. Non si tratta di vincoli soffocanti. Ma certamente ineludibili.
Si vuol vedere all’opera questa dinamica? Basta andare al Vascello dove è in scena Il gabbiano di Cechov per la regia di Leonardo Lidi. Appena si apre il sipario, la sorpresa: non vediamo un palco allestito con scenografie ed elementi che richiamano alla memoria ambienti coi quali siamo abituati a convivere. Assistiamo alla nudità del teatro: niente teli neri a coprire gli argani che fanno scendere o salire i vari scenari, il palco luci non è nascosto. Gli attori non vanno in quinta. Sono seduti in fondo, su una fila di sedie, il pubblico li vede. E attendono di entrare in scena mentre i loro compagni recitano.
Nel frattempo la vicenda del Gabbiano procede, la vediamo. Ma vediamo anche un’altra storia, non meno importante: quella della concezione che del teatro aveva Cechov: realista, ma che non rinunciava comunque al simbolismo.
E questo Lidi non lo ignora. Tutt’altro: ne fa materia di rappresentazione. Il gabbiano morto che Konstantin uccide è raffigurato da un panno bianco che copre un mazzo di fiori precedentemente distrutto da Polìna, moglie di Samràev – amministratore della tenuta di Sorin –, in segno di sfogo per un’infelicità perpetuamente repressa. Altro esempio di simbolismo in scena: il suicidio finale di Konstantin, dove al posto dello sparo di pistola si sente un semplice “bum” pronunciato dallo zio Pëtr, fratello di Irina, grande attrice, madre del protagonista. 
E del realismo presente, più che in Cechov, nella storia che riguardò i rapporti fra il grande scrittore e il mondo del teatro? Quello è in tutta la recitazione degli interpreti: volutamente poco accentuata – quel tanto che basta ad arrivare all’ultima fila della platea con giusta intensità –, con movenze veritiere, sguardi naturali. A vederli agire, sembra che tutti gli attori non stiano su un palco, ma in casa loro. E noi li stiamo spiando, non visti, da un’immaginaria quarta parete di vetro.
Gli interpreti sono stati tutti straordinariamente bravi nel non esagerare in naturalezza, sapendo benissimo che il teatro è comunque artificio (cosa che, per altro, conoscevano benissimo sia Cechov che Stanislavskij). Christian La Rosa è stato bravissimo nel ruolo di Konstantin: fiero nel dolore, mai patetico né melodrammatico. La Irina di Francesca Mazza è stata sublime: severa ma mai cinica fino in fondo; comunque umana, troppo umana soprattutto nelle sue piccinerie narcisistiche. Una bellissima interpretazione. 
Uno spettacolo da vedere e da applaudire.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Giovedì, 16 Marzo 2023 18:33

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