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GIORNATA QUALUNQUE DEL DANZATORE GREGORIO SAMSA (UNA) - regia Eugenio Barba

Lorenzo Gleijeses in "Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa", regia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley Lorenzo Gleijeses in "Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa", regia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley

con Lorenzo Gleijeses
Regia e drammaturgia di Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
Musiche originali e partiture luminose di Mirto Baliani
Oggetti coreografici Michele Di Stefano
Consulenza drammaturgica Chiara Lagani
Prodotto da Teatro Biondo di Palermo, Gitiesse Artisti Riuniti, Nordisk Teaterlaboratorium
Teatro Quirino dal 24 Settembre al 3 Ottobre 2021

www.Sipario.it, 2 ottobre 2021

Vedendo Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, scritto e diretto da Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley, tornano alla memoria queste parole di Roberto Bazlen: “Kafka ecc.: rendersi le cose così difficili è troppo facile”. Enigmatico, elusivo, sfuggente come sempre Bazlen. Eppure entrambi, parole e spettacolo, posti l’uno accanto alle altre s’illuminano a vicenda.
Su di un triangolo bianco illuminato da un piccolo cono di luce, vediamo agire un personaggio che compie strane movenze. È vestito di nero, lo sguardo concentrato, lievemente spaurito da un sentimento che lo atterrisce. È Gregorio Samsa, un danzatore moderno, il cui nome richiama alla memoria il celebre personaggio de La metamorfosi. A Kafka si ispira l’intera operazione drammaturgica di Barba, che racconta il timore, i complessi, i dubbi, le nevrosi, le manie, le paranoie di un ballerino alle prese con un debutto teatrale imminente, sempre braccato dal complesso di inferiorità provato nei confronti di suo padre – celeberrimo artista – e da un lacerante senso di colpa verso la sua ragazza, trascurata per eccessiva dedizione alle prove per lo spettacolo.
Per sfuggire a questo perpetuo sentimento d’inferiorità verso tutto e tutti, Gregorio Samsa ripete nevroticamente le coreografie del balletto. Ogni atto, anche banale, diviene pretesto per ripassare un gesto da fare in palcoscenico. Tentativo, questo, di bandire da sé le tante nevrosi che braccano il protagonista. Ma vano è il risultato. Perché queste paranoie finiranno per sopraffare il giovane Gregorio, annientando per sempre ogni sua volontà, ogni lato sano della sua persona.
Lorenzo Gleijeses si è dimostrato, fisicamente e interpretativamente, all’altezza del compito proposto. In più di un’ora e mezza di spettacolo, ha mantenuto una plasticità nel gesto che non ha conosciuto attimi di stanchezza o esitazione. Nelle parti recitate, molto poche, ha dato voce alla disperazione di Gregorio Samsa ricorrendo a un pathos intensissimo, tenebroso all’eccesso. Occhi sgranati, voce rotta dall’ira e di tanto in tanto dalla commozione, gesti che tradiscono moti furiosi immediatamente repressi: ne è emerso un personaggio scisso, a metà via fra la bestia – il suo aspetto più autentico – e la virtù – il lato ipocrita, fittizio della sua persona.
Al netto di tutto, ciò che è risultato poco interessante è il modo col quale la storia di questo personaggio è stata raccontata. Solo tenebre, mai uno spiraglio di luce. Eppure, insegnano i grandi classici, non vi è dramma che non possieda in sé la lievità tipica delle ali di farfalla. Una tragedia greca guarda l’abisso ma non ne viene mai investita. Semmai lo domina e, se possibile, lo illumina in parte. Ma per Barba questo non è pensabile. Tutto è irrimediabilmente cupo.
Spettacolo interessante, ma che finisce per affogare in se stesso per assenza di luce e prevalenza dell’intreccio, dei particolari, sulla trama.
Troppo facile, per tornare a Bazlen, rendersi le cose così difficili.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Mercoledì, 06 Ottobre 2021 14:49

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