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GIGANTI DELLA MONTAGNA (I) - regia Gabriele Lavia

Gabriele Lavia in “I giganti della montagna". Foto Tommaso Le Pera Gabriele Lavia in “I giganti della montagna". Foto Tommaso Le Pera

Gabriele Lavia
di Luigi Pirandello
con Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida,
Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis,
Federico Le Pera, Luca Massaro: la Compagnia della Contessa,

Gabriele Lavia: Cotrone detto il Mago,
Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria,
Daniele Biagini, Marika Pugliatti, Beatrice Ceccherini - iNuovi: gli Scalognati,

Luca Pedron - iNuovi, Laura Pinato - iNuovi, Francesco Grossi - iNuovi,
Davide Diamanti - iNuovi, Debora Iannotta, Sara Pallini,
Roberta Catanese, Eleonora Tiberia: i Fantocci (personaggi della Favola del figlio cambiato)

scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
luci Michelangelo Vitullo
maschere Elena Bianchini
coreografie Adriana Borriello
regia Gabriele Lavia
Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo
con il contributo di Regione Sicilia
e con il sostegno di ATCL - Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio, Comune di Montalto di Castro, Comune di Viterbo
Piccolo Teatro Strehler di Milano, Dal 27 febbraio al 10 marzo 2019

www.Sipario.it, 28 febbraio 2019

Perché quello de I giganti della montagna è il Pirandello dei miti? Perché mai come in quest'ultima fase, il grande girgentino seppe attingere al fondo dell'animo umano. La maschera, l'impossibilità di stabilire chi una persona sia, l'inconsistenza dell'io – quest'orpello che ci si porta dietro per la vita e che danna ogni istante, ogni respiro, ogni movimento –: l'intera sua poetica Pirandello mai l'accantonò. Ma seppe trasfonderla in un momento in cui volle portare in scena quel lato oscuro che Jung invitava a far emergere, mettendolo sullo stesso piano della luce che dimora in ogni uomo.
Ecco così spiegato il personaggio di Cotrone e la vicenda dei Giganti della montagna. Questo mago, a metà via fra il capocomico e un alchimista, è un uomo che ha appreso l'arte di domare i fantasmi del suo spirito. Da attore, o artista, consumato, egli dà parvenza a questi spettri. È il privilegio del teatro, del mondo dello spettacolo: far sì che ogni immagine che in noi appena balugina – come desiderio, speranza, sogno – sulle tavole d'un palcoscenico prenda forma, dando vita ad una storia. Altrove, in una dimensione distinta ma sempre di questo mondo, ecco loro: i giganti della montagna. Uomini che si sono dedicati solo alla cura del "necessario", ai numeri, corteggiando la banale ragione e relegando in un disperso cantuccio la fantasia. Se per costoro i bisogni sono vitali, Cotrone e i suoi simili vivono in un luogo dove tutto è niente e niente è necessario.
La rilettura che Gabriele Lavia fa dei Giganti (spettacolo realizzato grazie alla poderosa produzione della Fondazione Teatro della Toscana, e che ha appena debuttato al Piccolo Teatro Strehler di Milano), è la sua occasione per riflettere sulla condizione in cui versa l'arte drammatica dei nostri giorni. Il suo Pirandello mitico, il suo Cotrone così interpretati ci rammentano che i fantasmi che in noi vivono, ogni giorno debbono rivaleggiare con l'imposizione del potere, con le sue miserie, le sue ottusità. L'immagine d'un teatro in rovina, demolito e coperto di calcinacci – questa la scena di Alessandro Camera –, dove Cotrone e i suoi vivono sono le ultime vestigia, l'estremo e abbandonato spazio in cui un poeta può rifugiarsi – oltre che chiudersi in se stesso.
La recitazione dai toni pacati di Lavia tende a stemperare la passione, l'intensità, gli entusiasmi di Cotrone, facendo di questo personaggio un uomo consapevole e non più disposto a cedere a passioni, a stolidi moti dell'animo. A tratti ne fa quasi un asceta, un illuminato che tutto sa e che in virtù della sua consapevolezza può ignorare il mondo con le sue volgarità.
Ma non per sempre può il poeta chiudersi in sé. Finirebbe per morire, uccidendo la sua fantasia. Il finale: "Io ho paura! Ho paura!" su cui cala il sipario, ci dice che l'artista non troppo a lungo può nascondersi, perché giunge il momento in cui creazione e realtà debbono fondersi l'una nell'altra, anche quando quest'ultima tenta di travolgere la prima con cupi cavalli al galoppo.

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Sabato, 02 Marzo 2019 08:49

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