testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla
Interprete: Salvatore Arena
Musiche originali e sound design: Luigi Polimeni
Scene: Aldo Zucco
Disegno luci: Luigi Biondi
Regista assistente: Mariano Nieddu
Produzione: Mana Chuma Teatro
Teatro Cilea. Reggio Calabria 25 aprile 2022
Il termine F trattino Aida avrebbe fatto gioire Stefano Bartezzaghi e ne avrebbe scritto sulla sua rubrica “Lessico e Nuvole” che appare sul Venerdì di Repubblica. Avrebbe parlato di “elisione” o di “scarto”, o di altro ancora perché senza il trattino otteniamo la parola “Faida”, una sorta di guerra tra gruppi privati a scopo di vendetta, inserendo il trattino e togliendo la “F” avremo “Aida”, la nota opera lirica di Giuseppe Verdi che, stranamente, non si udrà nessuna delle sue arie per tutto lo spettacolo. In tutti e due i casi, con o senza trattino, sono due espressioni che per trent’anni hanno accompagnato la vita di Rocco, vestito da un formidabile Salvatore Arena che assieme a Massimo Barilla hanno scritto il testo F-Aida e lo hanno messo in scena con successo al Teatro Cilea di Reggio Calabria. Arena è solo sulla scena per 70 minuti e si muove come una belva chiusa in gabbia, o meglio in una squallida baracca (quella architettata da Aldo Zucco) come quelle che possono rinvenirsi ancora nelle periferie di Messina. Lo vediamo all’inizio, mentre echeggiano le note di “Casta Diva” di Bellini, col proprio corpo adagiato su quello del padre ucciso a coltellate. Rocco gli parla come se fosse vivo gridandogli in faccia la pena che gli ha inflitto: quella di averlo chiuso per 30 anni in quel tugurio dove ci si vede a malapena, solo perché innamorato d’un giovane come lui che si chiamava Alfredo. Un amore omosessuale lontano dalla mentalità del padre. Lui, maschio della Sila, non può accettare d’avere un figlio ricchione, meglio allora rinchiuderlo in un luogo sicuro dove nessuno lo possa vedere. Nel frattempo scatta la faida che coinvolge le famiglie dei due giovani e si odono colpi di lupara senza che si vedano i morti ammazzati. Rocco intanto serba di Alfredo solo il ricordo d’un fugace bacio sulla riva d’un fiume e poi basta, nient’altro. Continua a dilaniarsi l’anima Rocco, gli fanno compagnia i dischi in vinile di tanti melodrammi che ascolta da un vecchio giradischi, nessuno può aiutarlo, neppure i familiari più intimi che passano in rassegna nella sua mente, mimando le loro sembianze disarmate e incapaci per farlo evadere da quella prigione, compresa la madre che gli apparirà in un lato come una statua della Madonna, piangendo alla fine lacrime di sangue. Rocco è allo stremo, continua ad aggirarsi in quell’antro senza sosta, si scaglia ancora contro il padre morto e poi si toglie la vita col veleno. Lo spettacolo è struggente e Salvatore Arena ci offre un’interpretazione da ascriversi nelle antologie teatrali, ricordandomi in tanti momenti un ispirato Flavio Bucci alle prese con Il diario d’un pazzo di Gogol e Opinioni d’un Clown di Heinrich Böll. Leggo da qualche parte che il lavoro di Arena-Barilla si svolge negli anni ’80 del secolo scorso, sarebbe infatti un fatto inconcepibile che episodi di questo genere potessero ripetersi ancora ai giorni nostri, in una realtà certamente più evoluta, più cosciente e più colta in cui le coppie dello stesso sesso possono sposarsi e vivere la propria vita in piena libertà. Continua con F-Aida l’impegno nel sociale di questi due teatranti che operano nello Stretto tra Messina e Reggio, dopo aver narrato con 70VolteSud la rivolta di Reggio Calabria e la strage del treno a Gioia Tauro nel 1970 e dopo aver fatto conoscere a tanti spettatori attraverso la pièce Come un granello di sabbia la figura di Giuseppe Gulotta vittima innocente d’un caso di malagiustizia.
Gigi Giacobbe