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FRANKENSTEIN, IL RACCONTO DEL MOSTRO - regia Elio De Capitani

Elio De Capitani in "Frankenstein, il racconto del mostro". Elio De Capitani in "Frankenstein, il racconto del mostro".

Elio De Capitani narra "Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno" di Mary Shelley
disegni di Ferdinando Bruni
voce registrata del dott. Frankenstein Ferdinando Bruni
luci Nando Frigerio
suono Gionata Bettini
assistente alla regia Alessandro Frigerio
produzione Teatro Elfo Puccini
Teatro Elfo Puccini, Milano, dal 24 ottobre al 5 novembre 2017

www.Sipario.it, 8 novembre 2017

FRANKENSTEIN: IL MOSTRO UMANO NELL'INTERPRETAZIONE DI ELIO DE CAPITANI

La Sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini è piena, soprattutto di giovani vivaci. Le luci di sala si spengono e un'altra luce, debole, illumina un uomo incappucciato, seduto a un tavolo con un microfono ad asta. Dietro di lui, alcune immagini disegnate sono proiettate su un telo bianco che sovrasta la scena. L'uomo inizia a raccontare e un silenzio "miracoloso" prende il posto del vociare iniziale del pubblico. È così che ha inizio "Frankenstein, il racconto del mostro" nella voce di Elio De Capitani. La narrazione si concentra sulla parte centrale del romanzo di Mary Shelley, definita dallo stesso De Capitani "uno dei momenti più toccanti e conturbanti del romanzo" in cui l'autrice dà la parola direttamente al mostro dopo che a parlare erano stati il dottor Victor Frankenstein (l'inventore della creatura) e il capitano Walton. Frankenstein trova rifugio in una foresta in cui si costruisce una tana segreta. È da lì che avranno avvio le sue incursioni nei paraggi di una famiglia dedita all'agricoltura e all'allevamento per imparare la Vita. La generosità spingerà il protagonista ad azioni notturne come il portare ai nuovi "amici", di notte, la legna per l'inverno. L'equilibrio raggiunto reggerà fino al disvelamento del mostro che sarà la causa di un suo "ribaltamento" psichico e di nuovi terribili eventi.
È in questo quadro narrativo che si inserisce l'interpretazione di Elio De Capitani. Il cappuccio in cui è nascosto e il microfono che amplifica, efficacemente, i cambi perfetti delle tonalità di voce ci portano in un "mood" dal sapore "underground" che strizza l'occhio al teatro di ricerca. Sono oggetti che su un piano concettuale più alto ammantano di mistero quella che è la parola chiave di tutto lo spettacolo: umanità. Un'umanità, prima, misteriosa e benevola, poi, manifesta e malevola. È su questa doppia valenza tesa essenzialmente a dotare la creatura di una profondità d'animo illimitata che si gioca la partita dell'esistenza di Frankenstein. I gesti e la voce di De Capitani ci regalano tutta la tensione di Frankenstein "stritolato" fra il bisogno d'amore da un lato e l'angoscia immensa che lo attanaglia all'idea di mostrarsi, dall'altro. Sono tutti sentimenti umanissimi in cui rientra anche la violenza cieca, della seconda parte della rappresentazione, che ha il colore inconfondibile di una disperazione senza più ritorno. Noi assistiamo, commossi, allo scorrere degli eventi diretti verso un finale, un po' "tagliato con l'accetta", in cui il rumore in sala dei giovani è, ora, quello dagli applausi sentiti.

Andrea Pietrantoni

Ultima modifica il Giovedì, 09 Novembre 2017 07:37

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