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E ADESSO, POVER'UOMO? - regia Hakan Savaş Mican

"E adesso, pover'uomo?", regia Hakan Savaş Mican. Foto Ute Langkafel MAIFOTO "E adesso, pover'uomo?", regia Hakan Savaş Mican. Foto Ute Langkafel MAIFOTO

di Hans Fallada
Titolo originale: Kleiner Mann – was nun?
Regia e adattamento teatrale: Hakan Savaş Mican
Con: Dimitrij Schaad, Anastasia Gubareva, Tim Porath, Çiğdem Teke, Mehmet Ateşçi, Mehmet Yilmaz, Tamer Arslan
Musicisti: Valentin Butt, Lukas Fröhlich, Matthias Trippner
Composizione e direzione musicale: Jörg Gollasch
Scena: Sylvia Rieger
Costumi: Sophie du Vinage
Luci: Hans Fründt
Drammaturgia: Holger Kuhla
Berlino, Teatro Maxim Gorki, dal 15 gennaio 2016

www.Sipario.it, 18 gennaio 2016

Con lo spettacolo E adesso, pover'uomo? il Teatro Maxim Gorki di Berlino porta in scena l'omonimo romanzo di Hans Fallada, pubblicato e ambientato negli anni '30 del XX secolo, nella Germania di Weimar alla vigilia del nazismo, prostrata dalla crisi economica. Il "pover'uomo" di Fallada e del regista Hakan Savaş Mican è Johannes Pinneberg (Dimitrij Schaad), impiegatuccio borghese, modesto e senza pretese, ma diligente e onesto lavoratore. Questi si innamora di Emma (Anastasia Gubareva), figlia di operai comunisti, e la sposa quando rimane incinta. I due si amano profondamente – lui la chiama "agnellino", lei lo chiama "ragazzo" – ma Pinneberg è afflitto dalla preoccupazione di non riuscire a sopperire al mantenimento della moglie e del figlio in arrivo con il suo magro stipendio. Per un periodo i Pinneberg cercano di sopravvivere alla meglio, facendosi coraggio a vicenda e rifugiandosi nel proprio amore. Ma quando Johannes viene licenziato, la coppia è costretta a lasciare la cittadina dove vive per trasferirsi nella capitale, Berlino, all'epoca promessa di felicità e successo per migliaia di persone in cerca di un'occupazione. In effetti Pinneberg trova un impiego da commesso nel reparto di abbigliamento maschile dei grandi magazzini Mandel, ma la paga è scarsa e i tempi sempre più duri. Pinneberg vorrebbe che "agnellino" avesse una bella casa, dei mobili nuovi, qualcosa di cui essere fiera e felice e si affligge per non poterle offrire di più: «perché sempre gli altri? Perché non tu?» le dice un sera, tornato a casa dal lavoro con uno specchio e un tavolo da toeletta nuovi, costati quasi l'intero stipendio del mese. Presto nasce il bimbo, Horst, e mentre i Pinneberg hanno ancor più bisogno di denaro, da Mandel iniziano i tagli al personale: chi non raggiunge l'obiettivo mensile viene licenziato. Questo è il destino di Johannes Pinneberg che un giorno deve tornare a casa disperato e dire ad "agnellino" di aver perso il lavoro.

La storia del piccolo borghese Johannes Pinneberg è una storia di paura del fallimento, di disperazione per la perdita del lavoro, di estremo sacrificio fin quasi all'annullamento di sé; la storia di un'esistenza in salita, come conferma la scenografia di Sylvia Rieger, una passerella di assi di legno rialzata e inclinata su cui Pinneberg arranca e si affanna. Pinneberg soffre, si dispera, sopporta le peggiori umiliazioni, ma non si ribella, non insorge. Il protagonista di Fallada si piega pur di mantenere la sua famiglia, apparentemente l'unica sicurezza a cui si possa ancora aggrappare. Ma quando perde anche l'ultimo impiego, schiacciato, dimenticato e rifiutato dalla società, Pinneberg sembra rendersi amaramente conto che questo amore in cui si è morbosamente rifugiato non basta.

La scenografia di Sylvia Rieger, i costumi di Sophie du Vinage e l'accompagnamento musicale dal vivo (Valentin Butt, Lukas Fröhlich, Matthias Trippner) ricreano l'atmosfera della Berlino degli anni '30 in cui si diffondono il risentimento e l'ostilità che avrebbero preparato il terreno al nazismo. Nella messa in scena di Mican gli attori sono quasi sempre tutti contemporaneamente sul palcoscenico. Accanto a Dimitrij Schaad e Anastasia Gubareva, nei panni di Johannes ed Emma Pinneberg, si muovono altri cinque interpreti che cambiano costantemente ruolo e costumi sulla scena. L'interpretazione di Schaad, che si cala negli abissi della disperazione di Pinneberg, risulta tanto coinvolgente da spingere lo spettatore a identificarsi con il personaggio. In alcuni passaggi l'angoscia del protagonista è estremamente palpabile, per esempio quando Pinneberg prega invano il suo ex datore di lavoro di riassumerlo facendo leva sulla prossima nascita del figlio, o quando, già commesso da Mandel, nella foga di raggiungere l'obiettivo mensile indossa davanti ai clienti una giacca sopra l'altra fin quasi a soffocare. Il successo dell'immedesimazione viene confermato da prolungati e ripetuti applausi finali, con tanto di standing ovation. Da un lato il sentimentalismo con cui Mican dimostra fedeltà al romanzo di Fallada conferisce indubbiamente risalto alle interpretazioni di Schaad e Gubareva; dall'altro penalizza tuttavia un'auspicabile riflessione sulla figura del borghesuccio che, sballottato da un periodo di transizione, a lungo costretto a inghiottire e subire senza reagire, finisce per diventare il destinatario perfetto di ideologie che come quella nazista fanno leva sulla rabbia e lo scontento, tanto negli anni '30 quanto oggi. I personaggi secondari, vari datori di lavoro, colleghi, la madre di Pinneberg, l'amante di lei (Tim Porath, Çiğdem Teke, Mehmet Ateşçi, Mehmet Yilmaz, Tamer Arslan), spiccano per il loro carattere satirico, caricaturale e quasi stereotipato che dà dinamismo alla messa in scena, porta avanti la storia e accosta momenti di spiccata comicità al dramma del protagonista. Il regista Mican azzarda timidi tentativi di collegamento tra passato e presente, prevalentemente in chiave comica: per esempio quando viene nominato lo yoga come metodo per alleviare il disagio di Pinneberg o si utilizza l'espressione "work-life-balance" alludendo al fatto che il protagonista porta i problemi della sua vita privata al lavoro, o ancora quando un personaggio che dice di venire dal futuro (Mehmet Ateşçi) racconta al protagonista cosa accadrà a Berlino nell'avvenire, partendo dalla seconda guerra mondiale, passando per l'arrivo dei Gastarbeiter e per la costruzione del Muro, fino ad arrivare alla crisi migratoria odierna. Ed è proprio questo il punto debole della messa in scena, che avrebbe potuto andare oltre, approfondire il legame tra ieri e oggi e non limitarsi a confinare il presente a siparietti comici in uno spettacolo forse ancora troppo saldamente ancorato al passato. Ciononostante con E adesso, pover'uomo? il Teatro Gorki riesce a creare una serata molto intensa nella sua complessiva drammaticità, in ogni caso sempre ben amalgamata a passaggi di marcata leggerezza.

Gloria Reményi

Ultima modifica il Martedì, 19 Gennaio 2016 09:17

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