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ENRICO IV - regia Franco Branciaroli


Enrico IV - Regia Franco Branciaroli
 Enrico IV - Regia Franco Branciaroli


di Luigi Pirandello
regia di Franco Branciaroli

scene e costumi di Margherita Palli - luci di Gigi Saccomandi
con Franco Branciaroli
e 
con Melania Giglio, Giorgio Lanza, Antonio Zanoletti
, Valentina Violo, Tommaso Cardarelli, Daniele Griggio
e
con (in o.a.) Sebastiano Bottari, Andrea Carabelli, Pier Paolo D'Alessandro, Mattia Sartoni
produzione CTB Teatro Stabile di Brescia / Teatro de Gli Incamminati
prima nazionale al Teatro Sociale di Brescia, 6 maggio 2014
Catania, Teatro Verga dal 27 gennaio al 1 febbraio 2015

www.Sipario.it, 2 febbraio 2015
www.Sipario.it, 6 giugno 2013

Ogni volta che vedo l'Enrico IV di Pirandello ho sempre la sensazione che i primi trenta minuti passino senza aver chiaro cosa stia succedendo. All'inizio ci sono quattro cavalieri con i visi truccati in maniera espressionista e agghindati con abiti medievali che parlucchiano tra loro e si capisce da quello che dicono che non siamo nell'anno 1100. Poi giungono sparati su una specie di go-kart quattro personaggi in abiti moderni con un aplomb simile a quelli che vanno a visitare un museo e dai loro dialoghi si comprende perché si trovino in un salone con due ritratti raffiguranti due figure regali. Tra loro c'è un dottore, uno psichiatra di scuola freudiana, si direbbe, per come pensa di scuotere l'amico che sono andati a trovare, cercando di fargli rivivere quella cavalcata in maschera, con conseguente caduta da cavallo e botta in testa, che lo hanno portato a vivere rinchiuso in quel luogo da 20 anni, credendo d'essere re Enrico IV di Germania, colui che fu scomunicato da papa Gregorio VII, noto in particolare per il ruolo svolto nella lotta per le investiture. E' un personaggio, questo Enrico IV, fra i più noti della letteratura teatrale e dell'ampia antologia drammaturgica di Pirandello, il quale volle nel 1922 che venisse interpretato da Ruggero Ruggeri, il solo attore degno per lui, in grado di dargli corpo e anima. Da allora questo ruolo che dà il titolo al dramma è diventato un cavallo di battaglia per attori di razza, da Carraro a Randone, da Rigillo a tanti altri, provandoci adesso a vestirlo Franco Branciaroli mettendolo lui stesso in scena, senza potersi divincolare dall'assunto iniziale, transitando lo spettacolo pure dal Verga di Catania di cui siamo stati spettatori. E' un mattatore Branciaroli, dal suo primo apparire sulla scena, da quando si fa fustigare sulla schiena a quando veste subito dopo un enorme saio da penitente, giocando con gli ospiti come il gatto col topo, lui chiaramente è il gatto, o fingendo socraticamente di sapere-di- non-sapere. Infatti dopo aver redarguito elegantemente i suoi ospiti, costretti fra l'altro ad abbigliarsi, prima di apparire al suo cospetto, con abiti di 900 anni prima, si vedrà la marchesa Matilde Spina (Melania Giglio elegante nel suo vestito attillato e dalla chioma bianco platino) tramutarsi in donna "Adelaide" madre della ventenne Frida (Valentina Violo) raffigurata pure in uno dei due ritratti sotto forma di marchesa di Toscana, mentre il barone Tito Belcredi ( Giorgio Lanza) e il dottor Dionisio Genoni (Antonio Zanoletti) vestiranno ampi abiti di due frati benedettini. Ecco dunque, su una scena su più piani a grandi scaloni (quella di Margherita Palli, suoi pure i costumi) su cui domina una mega-affiche in bianco e nero raffigurante un cavaliere bardato di tutto punto e visibili sono un paio di stilizzati cavallucci tipo dondolo, Enrico IV-Branciaroli giocare la sua partita di scacchi, confessando agli amici che lui dopo aver vissuto 12 anni di obnubilamento delle facoltà sensitive, ha riacquistato nei restanti 8 anni il lume della ragione, vivendo così una finta pazzia, accudito comunque dai quattro cavalieri tedeschi, stipendiati lautamente dal marchesino Carlo di Nolli (Tommaso Cardarelli) perché fingessero le parti di "consiglieri segreti". E' straordinario Branciaroli sulla scena illuminata ad un tratto da un pallido sole, offrendo al personaggio toni disincantati, ironici, enigmatici, misantropici, ipocondriaci, stizzosi, diffidenti, sfoderando per ciascun atteggiamento una serie voci diverse per meglio far ri-vivere colui che non ha altro nome se non quello di Enrico IV, che ha capito dopo la non-ragione che la sua mente, per incanto, ha ripreso a funzionare, a pensare ciò che ha patito prima e dopo la botta in testa, a valutare nel giusto modo gli amici che son venuti a trovarlo. Botta che nient'altro è che un fattaccio, un rovello che gli ha consentito di capire che la donna amata, appunto Matilde Spina, è diventata l'amante di Belcredi e che costui è il responsabile principale della sua caduta da cavallo. Adesso pensa solo a come vendicarsi. Troverà il modo quando stringerà a sé la giovane Frida che è l'immagine della madre di 20 anni prima, infilzando a morte con un pugnale Tito Belcredi quando costui cercherà di staccarlo da lei. Adesso non potrà uscire più dal personaggio e resterà per sempre Enrico IV il pazzo.

Gigi Giacobbe

Instilla fecondi dubbi la drammaturgia di Pirandello, disarciona, spazza le ferrigne certezze mettendo lo spettatore a confronto con la propria doppiezza, lasciandolo incerto di possedere un'identità. Così questa famosa commedia, scritta sulla pelle del grande attore Ruggero Ruggeri, ma minata di qualche aporia che ne sgretola il lucido dettato. Troppe indeterminatezze in questo giuoco monstre. Il protagonista si è immedesimato nella maschera che incarnava durante una parata in costume a cavallo, vent'anni prima: una caduta, un trauma cranico ed ecco la figura da burla diventare l'autentico Enrico IV di Germania; poi, segregato in un palazzo arredato ad hoc, l'uomo è rinsavito, ma rifiutando la mondanità non ha svelato a nessuno la propria condizione fino a che il nipote, fidanzato di Frida, figlia della Marchesa di cui forse Enrico era invaghito, gli ha condotto un medico, per guarirlo. La carte si scopriranno ma la realtà non potrà mutarsi. Impeccabile Franco Branciaroli per la prima volta dedito a Pirandello, verosimile, pacato e sguaiato a seconda, melanconico, affettuoso, crudo o borioso, misurato anche nella dovuta esteriorità. E' però disattento nel ruolo di regista, sua ulteriore incombenza: i quattro finti consiglieri sono sgradevolmente dissonanti in un ondeggiare di toni e volumi dissennati. Giova ai comprimari l'esperienza del palcoscenico, è tetragono il Dottor Genoni di Antonio Zanoletti, è piacevolmente innovativo il barone Belcredi di Giorgio Lanza, distinto dalle interpretazioni abituali, qui come votato al chiarimento, alla razionalità; è accartocciato e fedele il vecchio cameriere di Daniele Griggio, è stizzosa, sinuosa come serpe ma screziata di sentimenti la marchesa Spina di Melania Giglio, è isterico il giovane marchese di Tommaso Cardarelli, ha poco carattere la Frida di Valentina Violo. Non giova la pur fascinosa scenografia di Margherita Palli, astratta, digradata senza un perché, faticosa, a parte le due cornici sghembe di bell'impatto. Lo spettacolo prevede una lunga tournée che di certo ne migliorerà le alchimie.

Maura Sesia

Ultima modifica il Lunedì, 02 Febbraio 2015 15:24

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