da Edipo re di Sofocle
con Corinna Lo Castro
regia Paolo Pasquini
Teatro Cometa Off di Roma, 2008
Vi sono vari modi di porsi a confronto con i grandi temi. C’è un modo diretto, frontale. Ma vi sono anche strategie oblique. Come quelle di Perseo, che usò lo specchio per uccidere Medusa. O di Teseo, che entrò nel labirinto. Paolo Pasquini, che dirige dal 2000 la compagnia Xenia, è di quegli autori-registi che preferiscono strategie di accerchiamento, attraversamento e disgregazione. Una volta puntato il mito di Edipo, lo ha dissolto e smembrato, lasciando allo spettatore il compito, eventualmente, di darsi delle risposte.
EDIPO REBUS – miti oracoli e pasticci ha debuttato in marzo al Teatro Cometa off di Roma e inaugura dal 6 al 22 ottobre 2006 la stagione del Brancaccino di Gigi Proietti. Un titolo giusto per uno spettacolo che si pone il traguardo di confondere le idee fino alla vertigine, senza concedere alcuna possibilità di ricomporre il puzzle. È un inno contro la Verità, a favore di una miriade di ipotesi, come Rashomon o Pirandello. Attingendo all’Edipo re di Sofocle e a La morte della Pizia di Friedrich Dürrenmatt, e aggiungendo una forte dose di grottesco e ironia – grazie anche a Corinna Lo Castro, coautrice nonché interprete che definire poliedrica è un understatement –, Pasquini ha dato un mirabile esempio di teatro ‘povero’, cioè senza grandiosi investimenti in scene e costumi, ma senza economia di quelle che sono le reali ricchezze, cioè intelligenza e talento. E se anche, per ragioni che ci trascendono, attraversiamo un periodo storico in cui l’unica ricchezza ufficialmente riconosciuta è quella del denaro, sappiamo che il teatro è rimasto l’ultimo baluardo dove gli artisti possono incontrarsi e coagire, certi di trovare ascolto.
In un palcoscenico adorno di pochi significativi elementi, di luci giuste e di divertenti video, Corinna Lo Castro – nota per le sue partecipazioni a Raiot, al Teatrogiornale, a film di Scola e Pieraccioni, nonché vincitrice nel 2002 della rassegna ‘Attori in cerca d’autore’ presso il Teatro Brancaccio di Roma – ha dato corpo, con precisione di gesti, di tempi e di toni, a tutti i ruoli che il testo prevedeva, riuscendo a passare da umori sarcastici e grotteschi a momenti di esplicita drammaticità, come quando indossa i panni di una Giocasta dissoluta e drogata.
Se l’approccio al mito di Edipo non è frontale, non lo è neppure quello che Pasquini ha con la Commedia dantesca in Dante symphonìa, spettacolo scelto come evento-immagine dalla LICRA, Ligue Internationale Contre le Racisme et l’Antisémitisme, organizzazione francese nata nel 1927 e ora attiva anche nel nostro paese con la recente apertura della LICRA Italia, presieduta da Marie Eve Gardère. Ma nel caso di Dante symphonìa l’approccio con la figura del poeta non è disgregante, bensì, al contrario, asseconda il desiderio dell’Angelus Novus di Klee, che, nell’interpretazione di Walter Benjamin, “ricompone ciò che è infranto”. Cioè, le identità culturali.
Così, oltre ai canti di Beatrice, di Casella, di Paolo e Francesca, Pasquini riattraversa il canto di Ulisse, con il folgorante verso “fatti non foste a viver come bruti”, incrociandolo a un capitolo di Se questo è un uomo di Primo Levi, a un saggio di Osip Mandel’stam, a una raccolta di manoscritti di Salmen Gradowski e a una citazione da Le città invisibili di Italo Calvino.
Lo spettacolo è costituito da un dialogo polifonico fra due attori, con un contrappunto di musiche elaborate dallo stesso Pasquini su temi di Mozart, e videoproiezioni sulle incisioni di Gustave Doré. Lo spettacolo è stato presentato ad Ankara e in varie città italiane e francesi. Dante, Mozart, Doré, Levi, Calvino, Osip Mandel’stam, Salmen Gradowski: un’alleanza forte, una benefica idra a molte teste per inondare un mondo stremato dalle violenze con un lampo di pacificazione a cui tutti vogliamo credere.
Gianna Gelmetti