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ENRON - regia Leo Muscato

Enron Enron Regia Leo Muscato

con Roberto Abbati, Alessandro Averone, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Cristina Cattellani,
Andrea Coppone, Francesco Gabrielli, Francesca Lombardo,
Michela Lucenti, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Emanuela Serra
regia Leo Muscato
scrittura fisica Michela Lucenti, aiuto regia Laura Cleri, scene Federica Parolini, costumi Silvia Aymonino
ideazione e realizzazione video Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii, luci Luca Bronzo
assistente alla scrittura fisica Ambra Chiarello, assistente alla regia Giacomo Giuntini
produzione Fondazione Teatro Due, in collaborazione con Balletto Civile prima rappresentazione italiana
Fondazione Teatro Due, Parma dal 23 febbraio al 13 marzo 2013

www.Sipario.it 14 marzo 2013
www.Sipario.it 25 febbraio 2013

Enron è un'operazione teatrale e drammaturgica che riscatta l'arte della scena e lo fa offrendo il linguaggio del palcoscenico dal vivo come strumento di supporto alla lettura della realtà. Non è un caso che tutto ciò accada a Parma, la città del crac Parmalat, città opulenta e operosa affossata dalla politica e dalla crisi economica; emblema dell'Italia industriale travolta dal malcostume e dalla corruzione. Fondazione Teatro Due con Enron di Lucy Prebble va all'origine del crac non tanto di Parmalat ma di un sistema capitalistico basato sul profitto sempre e comunque, drogato di espansione e di crescita, sviluppatosi nelle bolle di quella finanza creativa a cui si deve, in parte, la situazione drammatica di oggi. Tutto ha inizio o meglio scoppia e ha ricadute fino ad arrivare a oggi col caso Enron, colosso dell'energia, la settima industria americana, le cui azioni da 86 dollari in poche settimane passarono a 26 centesimi, quando si scoprì che la presunta crescita si basava sulla deregulation e soprattutto operazioni finanziarie che confinavano con la frode. L'esito fu la bancarotta e migliaia di disoccupati. Tutta questa vicenda è raccontata da Lucy Prebbe nella pièce Enron, testo dal piglio elisabettiano in cui il centro della vicenda è da un lato il manager senza scrupoli Jeffrey Skilling, interpretato da un convincente e intenso Alessandro Averone, che affiancato da Andy Fastow, mago della finanza (Massimiliano Sbassi ben denotato nel suo essere eminenza grigia della finanza creativa) fa del giocare in borsa, della speculazione il successo e la condanna del gruppo. Gli si contrappone Claudia Roe (Michela Lucenti senza fronzoli e incisiva) che alla speculazione finanziaria preferisce gli investimenti veri, costruire una centrale elettrica in India, paese emergente e che invano avverte dei rischi che l'azienda diretta da Ken Lay (Roberto Abbati) sta correndo. Questi i due poli di una concezione dell'economia e degli affari intorno a cui si muove la pièce di Lucy Prrebbe tradotta e messa in scena da Leo Muscato con sapienza teatrale, guardando al musical e al teatro brechtiano, sciogliendo visivamente e con efficacia le fasi del racconto in un tourbillon di proiezioni video, colonna sonora anni Novanta, balletti e caratteri dei personaggi chiari e subito individuabili. Tutto in Enron di Muscato procede con una chiarezza di lettura adamantina, il ritmo è allegro, avvincente, esaltante nell'ascesa inarrestabile, ma anche drammatico, teso, inquietante nella caduta. Il regista costruisce un prodotto ad alto tasso di pop, strizza l'occhio al musical – genere che bene racconta la cultura e società americane -, ad esso affida le scene d'insieme – coreografate e gestite con efficacia da Balletto Civile – e ne esce uno 'spettacolone' che arriva diretto, che non si concede alcuna allusione e dice tutto. Così quando lo spregiudicato manager se ne va in galera Leo Muscato veste Alessandro Averone della casacca arancione familiare a chi ha visto film ambientati nelle carceri americane. Enron conferma le doti di narratore e orchestratore teatrale di Leo Muscato che utilizzando un gruppo di attori affiatati e coesi offre al pubblico la possibilità di confrontarsi con una 'tragedia nostra contemporanea', di entrare nei meccanismi dell'alta finanza e partecipare all'inizio del grande crac che ha dato il via alla crisi strutturale del sistema capitalistico occidentale. Enron sa essere avvincente e didattico, fila via liscio e al tempo stesso non lascia indifferenti...

Nicola Arrigoni

Nel cuore dei pulsanti anni '90, l'age d'or della finanza americana, il presidente d'un colosso energetico texano ha un'idea, un'intuizione per certi versi perversamente geniale: "inventa" i titoli derivati, la speculazione finanziaria su base virtuale, per mantenere alle stelle il valore azionario della corporation che dirige ed occultarne le perdite per mezzo d'una società ombra. Il fatto che poi non esista la liquidità – se non in puri quanto astratti valori numerici - per coprire né il passivo né i dividenti poco importa. Almeno finché il sistema non raggiunge il collasso, la compagnia si rende protagonista del primo e più eclatante crack miliardario della storia e 20.000 dipendenti, oltre al lavoro, perdono tutto ciò che possiedono. Quasi un armageddon finanziario da fantascienza, eppure è tutto vero: è la grandiosa e disastrosa epopea di Enron, ultima produzione della Fondazione Teatro Due, alla sua prima rappresentazione italiana a Parma, con la regia di Leo Muscato, dal testo del 2009 della giovane drammaturga britannica Lucy Prebble.
L'ascesa e la fragorosa bancarotta di uno dei maggiori gruppi industriali del mondo, collocata su una scena dominata da un'impalcatura di schermi su cui compaiono frenetiche ed ossessive le oscillazioni degli indici della borsa valori e che richiama metallizzati e patinati ambienti d'alta dirigenza, si consuma in un arco temporale di circa 10 anni. Se nel 2001 quando il colosso fallì nel giro di poche settimane, pochi mesi dopo l'attacco alle torri gemelle e sette anni prima del disastro Lehman Brothers, l'evento parve uno sconvolgente unicum della storia economica mondiale, oggi il metodo Enron è prassi comune nel mondo della finanza, una routine che a fasi alterne mette in ginocchio compagnie, mercati, Stati.
La coloratissima e convulsa messa in scena di Muscato, ritmata dall'interpolazione costante di celebri successi pop anni '90 e dalle parentesi danzanti dei giovani interpreti del Balletto Civile, è essenziale, spogliata da qualsivoglia orpello visivo non funzionale allo sviluppo della vicenda, una sorta di inchiesta, ricostruita dalla Prebble durante quattro anni di ricerche e scrittura e riletta con una graffiante vena ironica, certamente ed inevitabilmente influenzata nei modi, nello stile e nella costruzione della drammaturgia, ripartita in quadri sovratitolati, dalle atmosfere in-yer-face della scena inglese a lei contemporanea.
Sugli schermi che fungono da cinta perimetrale all'azione di Jeff Skilling – un bravissimo Alessandro Averone, misuratissimo, anche negli eccessi - e dei suoi soci in affari, scorrono video, conferenze stampe presidenziali, proiezioni finanziarie: la storia recente degli States, politica e sociale, scorre parallela e implicata a quella della Enron e le connivenze, le alleanze, s'allineano con gli accadimenti scenici, dallo scandalo del Sex Gate di Clinton alla suspance del voto in Florida alle elezioni del 2000, con Bush vincitore e la promessa di deregolamentazione del mercato energetico nazionale, dal black-out californiano al processo e alla condanna a 24 anni dell'amministratore delegato, con oltre 20 capi d'imputazione pendenti, di Kenneth Lay, anziano direttore, poi suicida, e di Fastow,direttore finanziario.
In una commistione di linguaggi che vanno dal movimento espressivo, alla danza, al siparietto comico – con l'astuta intuizione d'architettare i cambi di scena con squadre di ballerini - addetti alle pulizie abbigliati come tecnici della Formula Uno ai box – la regia abilmente apre squarci visionari su una vicenda dominata dal cinismo: la voce fuori campo della figlioletta di Skilling che impara a contare, scatenando il delirio aritmetico del padre, ne è un esempio così come il balletto, estremamente suggestivo, dei raptor, i modelli finanziari elaborati da Fastow, che prendono corpo, tulle e squamate teste di dinosauri dagli occhi lucenti e sulle punte battono i tempi dell'allucinata gestione della Enron.
Esaltazione yuppie e panico s'alternano in scena, innervatati dalla medesima radice: il sogno americano declinato all'apice del cinismo, senza alcuno scrupolo, all'insegna di un liberismo aberrante in cui industria e banche ciecamente perseguono il solo profitto e la realtà scompare sopraffatta dagli scintillanti numeri dei tabelloni di Wall Street.
Solo Claudia Roe (l'ottima Michela Lucenti), collega-rivale-amante di Skilling, nel pandemonio danzante di traders, agenzie di rating, consulenti, giornalisti e politici corrotti, pare la voce d'un capitalismo ancora "umano", fondato sui fatti e su reali possibilità, non sulle ingannevoli proiezioni della speculazione. E al termine del precipizio, quando tutto è perduto, e quelle azioni che valevano oro non costano che pochi centesimi solo una domanda rimane, riflessa sui muri, sugli schermi: why? Perché?
Ancora oggi perché tutto ciò accade e perché finché tutto non crolla si finge che sia giusto, funzionale all'efficienza del sistema che il mondo degli affari abbia le "sue" leggi, così diverse dalle nostre?
Di Enron ce ne sono a centinaia e il dramma diretto da Muscato, che riesce a delineare con mano sicura l'impianto elisabettiano suggerito dalla Prebble e la lucida follia macbethiana di Skilling, sembra suggerire che a chiudere gli occhi sia proprio chi davanti alla catastrofe, ad un universo troppo complesso, ostico e lontano dagli interessi più immediati del vivere, sia chi più si sente impotente: noi tutti, comuni, piccoli risparmiatori.
E ciò è reale nella misura in cui i veri responsabili, i vertici aziendali, arrivano a definirsi – sulla scena come nella realtà - tutto sommato non davvero colpevoli, quasi vittime d'un meccanismo troppo "altro" che è sfuggito loro di mano, e paradossalmente non esitano a definirsi "eroi" e pionieri di un nuovo modello di business, di una rivoluzione economica senza precedenti.
Forse, a ben guardare, è davvero così.
Che il teatro rifletta sullo status quo della finanza mondiale con forme così intelligibili è azione lodevole. Che lo faccia in una città che pochi anni fa è stata duramente colpita dal crack d'una grande azienda come la Parmalat e che ancora oggi parzialmente ne paga le conseguenze, aggiunge ancor più valore all'operazione teatrale, ne rende ancor più significativa l'amara parabola.

Giulia Morelli

Ultima modifica il Sabato, 15 Marzo 2014 19:01

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