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ERO PURISSIMA - regia Eleonora Danco

Ero purissima Ero purissima Regia Eleonora Danco

di e con Eleonora Danco
Roma, Teatro India, dal 21 maggio al 17 giugno 2007

La Repubblica, 4 giugno 2007
Corriere della Sera, 5 maggio 2007
Nel giardino pasoliniano un dialogo tra sordi

Abituata a far tutto da sé, Eleonora Danco, già frettolosamente assurta a fenomeno di culto, si presenta in veste d’autrice, regista e interprete in una riedizione di Ero purissima, lavoro già da lei presentato in forma di assolo un paio d’anni fa a Napoli nella rassegna pasoliniana di “Petrolio” e ora ricreato per il Teatro di Roma, dove l’artista si esibisce in una parte maschile accanto ad altri tre attori. Lei è il giovanotto tossicomane che nella sua disperazione arriva a chiedere una bustina a Dio, ma qualche metro più in là, su un altro rialzo con funzione di panchina, urlerà quando sarà il turno il padre maledicente e alcolizzato di Paolo Sassanelli, mentre a distanza dietro a loro, in seconda fila, chiudono il quadrilatero un ragazzo cocainomane (Marco Lorenzi) e una sua fidanzata sedicente attrice (Elsa Pavolini). Tra loro non c’è comunicazione: si parlano addosso in un veemente romanesco, spezzato e nervoso, senza neppure guardarsi, presi come sono in un soliloquare sterile tra angoscia e insulti, in un contorno figurativamente astratto ma ricco di sonorità che vuol configurare un giardinetto periferico tra i rifiuti. Si potrebbe evocare Crave, dove Sarah Kane dava a quattro personaggi su quattro sedie una serie di battute consequenziali destinate a integrarsi che avrebbero stimolato allestimenti più sofisticati e spettacolari. Ma qui il grido mira a un maledettismo che si esaurisce in se stesso, saziandosi nell’esasperazione rabbiosa di un’impotenza compiaciuta nella sua voglia di raccontare il vuoto.

Franco Quadri

Quattro panchine e troppa retorica

Per fortuna c' è Massimiliano Civica, con il suo mirabile «La Parigina». Per fortuna, dico, c' è lui a tenere alto l' onore del maggior teatro italiano, di cui l' India è una parte. Per il resto, il disastro totale. La scorsa settimana osservavo come fossero difficili (impossibili) le comunicazioni tra teatro e cittadino. A me personalmente, tramite fax, è venuta in soccorso una gentile signora, che mi ha concesso il suo cellulare (personale, così specificava). Ma, volendo tornare all' India, quel cellulare squillava a vuoto. Ancora una volta sono dovuto ricorrere alla sorte e alla sollecitudine del personale in sala. Per vedere cosa? Qui il drammatico punto, dove parlare di disastro non è davvero eccessivo. Non solo l' India programma due spettacoli, uno prima e uno dopo: per necessità, si immagina, di accontentare un mucchio di gente. Ma ciò che l' India programma non avrebbe alcun bisogno d' essere programmato. Se mi fossi imbattuto in «Ero purissima» di Eleonora Danco in un piccolo teatro, dove i giovani rischiano, saggiano se stessi, si mettono alla prova, mi sarei limitato a prendere atto. Ma questa regista, Eleonora Danco, regista e interprete, scrittrice e performer, io l' avevo già vista niente meno che al Palladium (e s' era affacciata alla ribalta, prima, all' Ambra Jovinelli). L' avevo già vista là, e sono tornato a vederla, all' India, perché non si sa mai, perché si può non aver capito, perché colui o colei che abbiamo di fronte può nel frattempo crescere, maturare. Nel caso della Danco non è così. Non vi è alcun problema di maturazione e crescita. È letteralmente incomprensibile come il teatro di Roma possa aver investito le proprie energie in un simile bluff. Lo dico così, con una certa energia, perché penso ai tanti giovani che non hanno altrettanta fortuna. Perché la Danco sì e Nuccetelli, che ho visto l' altro giorno alla Sala Uno, no? Quest' ultimo almeno confeziona uno spettacolo, si misura con Genet, si misura con il suo maestro Giuseppe Marini. Insomma, ha una piccola storia. La Danco, invece, cos' ha? Cosa ci mostra? Niente. O, se si preferisce, una retorica di terz' ordine. Un grande spazio (uno spazio troppo grande per lei), quattro panchine, quattro personaggi che parlano ognuno per fatti suoi. Essi sono: un tossicomane, il padre alcolizzato di costui, un cocainomane, la sua fidanzata aspirante star. Ho citato la stessa autrice. Credo basterebbe l' elenco dei personaggi. Se aggiungiamo che costoro parlano in un finto romanesco, che le invettive sono più numerose dei discorsi, che non si capisce ciò che dicono (se ne capisce la metà, o un quarto) e che il tutto dura quaranta minuti con la pretesa che vi sia contrasto tra il titolo e il contenuto (!) ci si può a ragion veduta chiedere se ciò sia degno di una grande istituzione, da cui ci si aspetta ben altro che sciatteria ai più diversi livelli.

Franco Cordelli

Ultima modifica il Martedì, 17 Settembre 2013 09:15

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